A cura di Rosa Roselli

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PICCIO, L’ULTIMO ROMANTICO


(Cremona, Santa Maria della Pietà)




Piccio, Ritratto di Filippo Guenzati


Giovanni Carnovali detto il Piccio (Montegrino, Varese, 1804 – Cremona 1873), figlio di un capomastro e apparatore di giochi d’acqua per fontane, fu di precocissimo talento al punto che la sua genialità, inusuale in un bambino, colpì i conti Spini di Albino (Bergamo), che presto divennero i suoi protettori, quando lo videro disegnare sui muri della loro villa, ove il padre era stato chiamato per sistemare dei giochi d’acqua. Proprio dai conti Spini venne il soprannome di Piccio, ossia “piccolino” in lingua lombarda e l’artista ne fu talmente fiero da firmare sempre così i suoi quadri.

Entrato a dodici anni alla scuola di pittura dell’Accademia Carrara di Bergamo, fu allievo di Diotti che, sottolineando il suo carattere bizzarro, lo definì “il mio strambissimo Piccio” e di lui disse “diverrà non già un artista bravo, ma straordinario”. Parole assai significative perché sottolineano da una parte il talento eccezionale e dall’altra l’originalità e la bizzarria del pittore. In questo ambiente provinciale si svolse per molti anni la vita del Piccio, giovane dal carattere solitario. La sua formazione avvenne all’insegna dei grandi Maestri come Lotto, Tiziano, Moroni, Correggio, ma, secondo alcuni critici e studiosi del Piccio, l’artista avrebbe le sue origini pittoriche in Leonardo. Tuttavia Piccio lavorò secondo la sua idea di pittura, sperimentò le sue innovazioni sia nel ritratto sia nei paesaggi, incurante del pubblico e della critica. La sua pittura è molto moderna perché guarda alla luce, al colore, ai valori atmosferici; è una pittura sperimentale, ante litteram “en plein air”, dai risultati molto personali soprattutto nei paesaggi, ma anche nei ritratti e nelle figurazioni mitologiche così da essere considerato precursore della Scapigliatura e del Divisionismo.



Piccio, Autoritratto, 1846 – 47


E’ tuttavia nel ritratto la grandezza di Piccio, che respinge i canoni dell’accademismo classicista per esprimere con forza la realtà. Significativo in questo campo è il ritratto a figura intera della contessa Anastasia Spini, la “sorella nubile del conte Pietro Andrea Spini, interdetta per prodigalità e minorato giudizio”. Piccio la ritrae impietosamente nella sua bruttezza, sottolineando le rughe d’espressione del volto e l’abitudine, poco femminile, ma consueta, di stringere tra le dita una presa di tabacco.

Tra le leggende che riguardano la vita di Piccio c’è un suo viaggio, a piedi, a Parigi per certi elementi di impronta romantica alla Delacroix, per l’immergersi nella natura tipico della scuola di Barbizon, ma anche influssi settecenteschi alla Fragonard per la grazia sensuale e vaporosa delle sue figure. Sicuramente Piccio viaggiò molto: fu a Parma, Firenze, Roma e Napoli, ma le città, in cui fu più presente, furono Bergamo, Milano e Cremona, dove morì, tragicamente inghiottito dal Po.

Per lungo tempo dimenticato, l’artista venne recuperato nel Novecento da De Chirico e Previati che lo riconobbe come suo ideale maestro.

La mostra di Cremona dà l’occasione di ammirare 150 opere di grande pregio tra dipinti, disegni e bozzetti, messi a confronto con i lavori di altri protagonisti dell’Ottocento come Hayez, Trécourt, Ranzoni, Faruffini.



Piccio, Anastasia Spini, 1840


La rassegna è visitabile fino al 10 Giugno 2007


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