A cura di Rosa Roselli

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GENGIS KHAN E IL TESORO DEI MONGOLI


(Treviso, Casa dei Carraresi)



Gengis Khan, stampa, 1780

Popoli, sapete di aver commesso grandi peccati. Lo dico perché io sono la punizione di Dio. Se non aveste commesso grandi peccati, Dio non avrebbe mandato uno come me a punirvi” (Gengis Khan).

Il nazionalismo sa rovesciare e cambiare il significato e la lettura del cammino di una civiltà! Gengis Khan, conosciuto da tutti come il sovrano dei popoli delle steppe, è oggi diventato un cinese; il guerriero per eccellenza spietato, ma valoroso, è un eroe del mitico Dragone.

Temucino o Temujin, il “fabbro” ossia Gengis Khan, è uno di quei personaggi omologati sotto la bandiera del revisionismo, pur appartenendo ad un mondo culturale diverso e, per di più, in conflitto. La Cina di oggi mostra un grande amore per i condottieri e gli imperatori che l’hanno costruita, anche a quelli provenienti da altri luoghi, che poi sono diventati cinesi per adozione. Questo processo nasce dall’esaurirsi della passione ideologica per il comunismo e ciò che dà unità al Paese è l’aver identificato la Cina con le gesta dei fondatori, con gli uomini, i miti e le leggende.

Gengis Khan è colui che ha portato le tribù nelle gelide praterie della Cina settentrionale e, da quando (1949) la Mongolia interna è diventata una Regione Autonoma della Cina, la sua storia appartiene a Pechino. In seguito a ciò, Gengis Khan da barbaro signore delle guerre si è trasformato in un moderno conquistatore. Nella Mongolia interna, nel luogo dove si racconta la morte  del “fabbro”, c’è oggi un mausoleo a ricordare quell’antico condottiero del quale un cronista arabo scrisse: “Nelle regioni da lui non ancora soggiogate, ogni uomo e ogni donna trascorre la notte tremando in attesa del suo arrivo”.


Bue in bronzo dorato


La mostra in oggetto è un’ampia panoramica su quattro secoli di storia, è un viaggio nella civiltà cinese dal X al XIV secolo, ossia dal 907, fine della Dinastia Tang, al 1368, periodo in cui cade la Dinastia Yuan.

Adriano Màdaro, sinologo, da oltre trent’anni coltiva la sua passione per la Cina e per Gengis Khan. Ha percorso centomila kilometri tra Cina, Mongolia e deserto dei Gobi per visitare siti archeologici e oltre duecento musei. A lui si devono molte scoperte interessanti.

La mostra tocca anche il periodo precedente a Gengis Khan, quello delle Cinque Dinastie e dei Dieci Regni (907 – 960). Della potente Dinastia Liao (907-1125) ci sono eccezionali testimonianze di reperti d’oro finemente lavorati: corone principesche, selle e finimenti per cavalcature, gioielli di giada e di ambra, porcellane, armi. Di particolare bellezza gli oggetti provenienti dalla dote funebre di una principessa diciottenne, ritrovata, dopo mille anni, intatta nella sua tomba, facente parte di un cimitero dinastico segreto. La principessa, in procinto di dare alla luce un figlio, ma deceduta per un’infezione maligna (1018), è stata sepolta con il marito, morto a 26 anni l’anno prima, in una tomba, la cui struttura richiama le “ger”, le tradizionali tende circolari dei Mongoli; è formata da tre stanze scavate nella roccia. La più grande avrebbe accolto gli sposi, nelle altre due sarebbero stati deposti il corredo funebre e le bardature dei loro cavalli. Le pareti delle stanze furono decorate con affreschi di servitori pronti ad offrire tazze di te, mentre sul soffitto, sopra il catafalco, furono disegnate due gru in volo nel cielo stellato, pieno di pianeti, per ricordare il viaggio degli sposi verso l’eternità. A metà Anni Ottanta, nella Mongolia interna, durante uno scavo, si scopre questa tomba. Nelle stanze ancora sigillate tutto è perfettamente conservato. I giovani sposi sono sul letto funebre, uno accanto all’altra, i volti sono coperti da maschere funebri in oro e in argento, gli abiti sono preziosi e hanno cuciti gioielli, collane, borsette, amuleti, cinture…Tutto in ambra, giada, oro, argento. Anche i copricapo, gli stivaletti e i poggiatesta sono in argento cesellato con figure di fenici che spiccano il volo verso un cielo pieno di nuvole, gonfie di vento. Tra tutti i tesori è eclatante un piccolo oggetto di giada bianca con raffigurate due oche che intrecciano i loro colli. E’ un simbolo d’amore e di fedeltà coniugale.

Del periodo 907-960 si ammira in mostra un bassorilievo dipinto che riprende un gruppo di musicisti con i loro strumenti musicali, mentre nella sezione dedicata all’arte dei Song (960 – 1279) si apprezzano bronzi, sculture, porcellane.


Orchestrali con i loro strumenti

Nella sezione che celebra la Dinastia Jin (1115 – 1234), gli antenati dei Manciù, i futuri fondatori di Pechino, si trovano sculture di marmo, giade, affreschi, oggetti che dimostrano come questi popoli, pur provenendo dalle steppe, avessero assimilato la cultura cinese. Affascinante è pure lo spazio riservato alla Dinastia Xi Xia  che creò il regno dei Tanguti, tra il Tibet e la Mongolia. Tra gli oggetti in esposizione emergono un bue in bronzo dorato e gli angeli alati buddisti.

Con il richiamo a Marco Polo si chiude la mostra, omaggio questo dovuto al grande esploratore veneziano che fece conoscere la Cina all’Europa. Di lui si legge, in mostra, il testamento originale.



Marco Polo


La mostra è visitabile fino al 4 Maggio 2008
www.laviadellaseta.info


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