Rubrica
a cura di Attilio Mazza


PERCHÉ LA SCELTA MONASTICA IN EPOCHE LONTANE



Marcel Pacaut, «Monaci e religiosi nel Medioevo»,
Il Mulino, pagine 342, euro 12,00


La Società editrice Il Mulino di Bologna ripropone «Monaci e religiosi nel Medioevo», di Marcel Pacaut – studioso di fama internazionale, già docente di Storia medievale nella Facoltà di Lettere dell'Università di Lione –, nella traduzione di Jacob Catalano e aggiornamenti bibliografici a cura di Pierpaolo Bonacini.

La storia degli ordini monastici e religiosi – si legge nella nota editoriale – costituisce un capitolo essenziale della storia sociale e politica, oltre che naturalmente della storia ecclesiastica e spirituale, del Medioevo; basti pensare al ruolo centrale che monaci e religiosi hanno avuto nel definirsi della struttura della Chiesa, su cui hanno esercitato una profonda e durevole influenza.

Fra i vari problemi storici che Pacaut contribuisce ad illuminare, il più controverso è senz'altro quello concernente il nodo psicologico della vocazione religiosa, alla quale, a seconda dei tempi e degli individui, è stato di volta in volta attribuito il significato di una "fuga mundi" o di una preparazione spirituale all'azione, ma anche un modo per sopravvivere in tempi estremamente difficili.

Al di là della sfera propriamente religiosa, i monaci svolsero in tutti i campi una funzione importante, nel pensiero come nell'arte, nelle istituzioni come nell'economia e nell'affinarsi del "fare tecnico". Accanto alle grandi personalità (San Benedetto, San Colombano, San Francesco, San Domenico), le grandi organizzazioni, soprattutto i Benedettini e i Cluniacensi, furono determinanti, grazie alla loro capacità speculativa e alla loro forza di irradiamento, per l'evoluzione della cultura medievale.

Attraverso lo studio dei documenti, l’autore informa il lettore «con chiarezza e con un linguaggio pacato di certe realtà di base senza le quali intendere il passato è impossibile», ha scritto Franco Cardini a proposito di questo lavoro. Pacaut apre, infatti, le porte al profano, di un mondo completamente diverso da quello nostro, fatto di una quotidianità regolata da norme in un ambiente rasserenante come risulta dal seguente documento del Duecento citato nel libro che descrive l’organizzazione degli edifici nel monastero di Clairvaux:

«Laddove termina il frutteto comincia l’orto, suddiviso in tanti riquadri, i cui limiti sono tracciati da piccoli rivi d’acqua. Quest’acqua serve a due usi: nutrire i pesci e innaffiare i legumi, e a fornirla è il corso sempre abbondante dell’Aube. Un ramo del fiume, attraversando i vari laboratori dell’abbazia, si fa ovunque benedire per i servigi che rende. Le acque dell’Aube arrivano nell’abbazia mediante grandi opere (idrauliche) e se non vi giungono in tutta la loro portata, tuttavia non vi impigriscono inattive. Infatti, non dalla natura, ma dall’operosità dei monaci è stato scavato un letto le cui sponde tagliano in due la valle e per questa via l’Aube manda metà delle sue acque all’Abbazia, quasi volesse venire a salutare i monaci […]».

In un ambiente simile la “fuga dal mondo” e dalle tribolazione, in tempi di fame, di pestilenze e di insicurezza anche a causa di conflitti, era per molti come entrare in paradiso!