ESOTERICA - A cura di Attilio Mazza
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PARADISI IMMAGINARI DELL’UOMO NUOVO



Paolo Rossi, «Speranze», Il Mulino, 146 pagine, € 9,00

Ernst Bloch sul «Principio speranza» (Garzanti nel 2005) si chiede: «Il presunto tramonto delle speranze e delle utopie suggerisce domande ineludibili. È cioè lecito chiedersi se la fine di alcune speranze progettuali di tipo politico coincida con ...:. dissolversi di qualsiasi tendenza "utopica", o, ancora, se i nostri contemporanei hanno effettivamente smesso di desiderare e di formulare ipotesi sul proprio futuro».
Commentando la riflessione Paolo Rossi, Accademico Linceo e professore emerito dell’Università di Firenze, autore del saggio edito dal Mulino, «Speranze», osserva che l'ultima parte della frase «mi pare non abbia alcun senso: desiderare qualcosa e formulare, a questo proposito, ipotesi riguardanti il futuro non ha, di per sé, nulla a che fare con la dimensione utopica. Non è affatto vero che se, oggi in Italia, desidero comprarmi una casa e costruisco ipotesi sul mutuo da fare mi trovo, per questo, inserito in una dimensione utopica o in una filosofia della storia. Con trappole filosofiche simili a questa, quando ero giovane, avremmo tutti dovuto ritrovarci, senza mai averlo saputo, seguaci dell'Attualismo di Giovanni Gentile».
E ancora: «La mia distanza dalle tesi presenti in quella introduzione è ancora cresciuta. Se c'è qualcosa della quale mi sembra si possa oggi essere sicuri essa è la seguente: quello "spostamento" dalla teologia alla storia è stato un clamoroso, irrimediabile fallimento. I paradisi del futuro non solo non si sono realizzati, ma quel tipo di speranza ha dato luogo a progetti non ragionevoli e resi praticabili mediante l'uso sistematico della violenza. Credere che progetti ragionevoli e praticabili possano nascere sulla base di uno "spostamento" dalla teologia ad una filosofia della storia (o addirittura ad una scienza della storia) è stata la pericolosa, fallimentare, sanguinosa illusione del Novecento».
Ed è per ribadire questa tesi che ha scritto il breve saggio «Speranze» suddiviso in tre capitoli. Nel primo, intitolato «Senza speranze», si parla della letteratura apocalittica, delle previsioni catastrofiche fallite, della fine dell'Occidente, del masochismo degli intellettuali, dell'impellente bisogno, che molti di loro manifestano, di "uscire dall'Occidente". Nel secondo, «Smisurate speranze», vengono passati in rassegna gli immaginari paradisi collocati in un altrove geografico, dalle aspettazioni eccessive, al mito dell'uomo nuovo, all'utopismo come ideologia diffusa, sino alla recente crescita di un aggressivo Superumanesimo. Nel terzo, «Ragionevoli speranze», sono elencate le ragioni che ci possono preservare dalla disperazione.
Scritto in uno stile chiaro e asciutto, il saggio non è rivolto ai filosofi, ma a tutti coloro che non si accontentano di vivere e vogliono anche pensare. Vi si parla, quindi, dell'assenza di speranze e delle previsioni catastrofiche fallite, ma anche delle «smisurate speranze», dei paradisi immaginari e del mito dell'uomo nuovo.