ESOTERICA - A cura di Attilio Mazza
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Da questa settimana Esoterica ospita i contributi di Marcello Carraro, ricercatore spirituale che da anni indaga, attraverso letture e contatti, i problemi relativi alla realtà dello spirito che non si esaurisce nella conoscenza terrena ma prosegue in altre dimensioni in una evoluzione infinita.

INCONTRI VII

La fede


di Marcello Carraro




Le religioni hanno avuto ed hanno da sempre come impegno fondamentale i loro interessi, fossero questi i più nobili ed elevati, oppure quelli del tutto inconfessabili. Fra i primi, innanzi tutto, che i loro credenti pongano nella Divinità – comunque essa si chiamasse – il massimo di fiducia e accettazione incondizionata, dogmatica, indiscutibile, ecc. La fede va poi intesa rivolta alle verità rivelate dai maestri, dai fondatori delle religioni, dalle grandi figure religiose. Ma è accaduto che col tempo essa si sia di fatto trasferita in larghissima parte ai paradigmi teologici, dogmatici, dottrinari, ecc., i quali a questo riguardo sono stati codificati e strutturati in canoni dalle classi sacerdotali o giusperiziali che si sono succedute a posteriori.
Quasi sempre il pensiero spirituale e le ragioni profonde dei messaggi spirituali originari sono andate perdute, o volutamente accantonate, e in larghissima parte sostituite dalle dottrine, dalle teologie, dai riti, dalle tradizioni, quando non vi sono state immediate scissioni nelle stesse interpretazioni del messaggio originale. Queste sono le verità che si possono trovare in ogni testo di storia delle religioni, in un panorama variegato che mostra la pochezza, la confusione, l'ignoranza, la dispersività, ecc. della condizione religiosa e del pensiero umano, situazione che perdura tuttora.
La domanda che dovrebbe sorgere spontanea è allora questa: in chi e cosa si dovrebbe avere fede? In quale figurazione o concezione di Dio? Non disse forse il Cristo che «Dio è Spirito» (Giov. 4,24), e che «Dio non lo ha mai visto nessuno» (Giov. 1, 18)?
Se un credente dovesse porsi obbiettivamente domande del genere dovrebbe prendere immediatamente la decisione di staccarsi dalla sua religione, tale è la mediocrità della rappresentazione della Divinità che ne dà, e per prime le religioni monoteiste che dovrebbero possedere le verità più profonde. L'uomo ha trasformato la Divinità a sua immagine e somiglianza, in un'orgia di antropomorfismo assurdo e ridicolo. L'Assoluto, Eterno e Infinito si è perduto e dissolto, degradato in una miriade di definizioni e dottrine banali e infantili che le religioni non hanno saputo far evolvere, con gravissime responsabilità spirituali verso i propri credenti.
Raramente si medita che la fede è l'unica e primaria azione umana che si attua verso Dio sul piano individuale interiore, e tutte le altre sono conseguenze. Ma la fede è necessaria all'uomo? No non è necessaria, e questa brutale risposta parte proprio dalla sua condizione di impermanenza, ignoranza, finitezza, eccetera. L'uomo possiede una sorta di religiosità istintiva, che non è sua, ma rappresenta il riflesso dello Spirito incarnato, della sua condizione originaria di sostanza emanata da Dio e che neppure la materia del corpo riesce a sopprimere del tutto. Senza lo Spirito non vi sarebbe nessuna forma di religiosità, e nessun pensiero astratto o metafisico, perché saremmo di fronte ad un uomo-animale, in una condizione del tutto differente da quella in cui siamo.
Che necessità sussiste che lo Spirito creda o abbia fede in Terra, quando automaticamente si ritroverà sostanza della sostanza divina, non appena il corpo sarà morto e lo Spirito dovrà necessariamente – per la sua stessa natura – accettare e riconoscere Dio?
È in questo quadro che si pone la questione secondo la Conoscenza. In altri termini non appena lo Spirito si troverà disincarnato avrà la fortissima reintegrazione nella sua condizione essenziale di sostanza divina, automaticamente riconoscerà cioè la Divinità attraverso la sua stessa struttura e condizione di essere spirituale. Poste queste premesse logiche la conclusione è automatica, inoppugnabile, una negazione divina non può essere neppure pensabile, alla stessa stregua di un uomo che neghi di essere fatto di carne.
Nella sua condizione incarnata lo Spirito viene a porsi sulla Terra in una sorta di realtà temporale sospesa, del tutto provvisoria, in cui la sua struttura è estremamente limitata, sino a ottundere il suo stesso riconoscimento di individualità e sostanza. È in questo senso che l'uomo – per diretta conseguenza – non ha certezza e fede assoluta verso Dio, e possono così sorgere, come opposti, le condizioni di materialismo e ateismo. All'uomo, cioè allo Spirito incarnato, in un certo senso tutto è permesso nella logica dell'esperienza della materia. Ma quella dello Spirito incarnato è però una condizione assolutamente provvisoria, il calarsi nella condizione temporale è una sorta di attimo nell'eternità dello Spirito, dove anche il mancato riconoscimento di Dio non pone né colpe né responsabilità oggettive, tanto è il livello del condizionamento che la materia costituisce. Ovviamente stiamo riferendoci agli spiriti dei livelli più bassi e meno evoluti, poiché la stessa situazione non può certamente far parte dell' esperienza di Spiriti evoluti, nei quali la compenetrazione e il dominio della materia sono molto forti, lucidi e consapevoli, e si rispecchiano nella stessa condizione esistenziale.
Il problema della fede come pratica e convinzione si pone a questo punto solo per l'uomo, per la condizione incarnata dello Spirito. Paradossalmente una risposta è stata data da Blaise Pascal, il grande filosofo francese, il quale giustamente rifiutò il razionalismo teologico, e tentò di dare una ragione pratica alla fede, e lo fece con una logica brutale, ma vera ed essenziale: quella dell'interesse opportunistico dell'uomo. È il cosiddetto argomento del pari di Pascal, una sorta di scommessa o postulato sull'esistenza di Dio, perché comunque questa forma è nell'interesse primario e riconosciuto dell'uomo. Abbiamo qui volutamente depurato la tesi pascaliana dai suoi lati teologicoutilitaristici e del suo totale pessimismo verso la condizione umana. Ma quanto abbiamo detto corrisponde esattamente anche alla vera condizione e atteggiamento che l'uomo dovrebbe porre verso la Divinità. E queste sono le stesse tesi dello spiritualismo avanzato. Riconoscere e credere nella Divinità da parte dell'uomo è estremamente utile nella sua condizione di debolezza, è un piacere, una gratificazione, una sorta di favore che l'uomo si fa da sé, anche se pochissimi sanno ricercare e impostare un rapporto con Dio. Dio infatti non ha bisogno dell'uomo, ma l'uomo trae vantaggio dal riconoscimento di Dio.
Tutto ciò sempreché questa fede non sia passiva o imposta, oppure trasmessa e accettata per abitudine e condizionamento religioso; e allora non serve a niente. Una fede di questo genere, o appresa dai libri, non implica nessuna ricerca e lavoro individuale, e nessun sforzo di conoscenza e di spinta interiore. L'uomo da Dio vuole solo ciò che lo gratifica e gli rende la vita comoda: non si dice forse «Grazie a Dio» per ogni cosa che sia andata bene nei nostri confronti? In contrapposizione a questo atteggiamento Giobbe fu un grande testimone della fede, anche quando patì ogni sofferenza, perché credeva che anche questo fosse un superiore e giusto disegno di Dio nei suoi confronti, al di là della sua stessa comprensione umana.
Che tipo di fede può essere considerata questa dell'uomo? Ma se la vita dello Spirito in Terra significa esperienza, questo modo convenzionale di vivere la vita non permette di comprendere le esperienze: per lo Spirito esse sono neutre e un soggiorno in carcere può essere molto più utile e produttivo spiritualmente di una vincita alla lotteria.
Allora sarebbe bene scendere nella propria interiorità e cercare il giusto rapporto di fede in Dio, ricercandola attraverso l'autoanalisi, la critica di sé stessi e ricordandosi di non chiedere mai nulla … Basta iniziare la strada e ciò di cui abbiamo bisogno ci perverrà attraverso strade impensabili o imprevedibili.
Una vera fede presuppone il coraggio di riconoscersi esistente autonomo e individuale, controparte in una sorta di dialogo col Padre in cui non occorre alcuna parola, ma solo il pensiero rivolto a Lui.
La fede non significa neppure pensieri iperbolici o immaginifici verso la Divinità. Sarebbe , invece, un grandissimo risultato provare un profondo e sincero rispetto per questa immane e infinita Realtà. Autoriconoscersi come Spirito ci rende di per sé interlocutori diretti del Padre, al di là e oltre ogni mediazione religiosa, nell'attesa di percepire la Sua ineffabile, silenziosa, risonanza infinita.
Auguro, allora, di trovare questo rispetto e silenzio dentro di voi.

(© copyright Marcello Carraro)

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