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Raffaele d’Isa

«Notte a Elounda»

Editrice Mediterranea, pagine 42, € 9,50

«L'archetipo del viaggio in tutte le sue implicazioni figurali, come ricerca, introspezione, percorso iniziatico, trasmutazione psicologica e ideologica, fornisce l'infrastruttura che regge questa reinvenzione del poemetto narrativo come genere letterario. La sua originalità sta nell'estrema libertà lirica e inventiva delle composizioni, dichiaratamente ispirate all'occasione episodica, che al compimento dell' itinerario risultano disegnare però una configurazione di intensa e precisa perspicuità. Il protagonista è un giovane poeta, ricco d'emozione e di cultura, ma a disagio in un mondo pieno di cose e vuoto di sapienza. E la sapienza è la meta riflessiva, vale a dire metafisica e metaforica, che la voce narrante e poetante persegue con un viaggio reale nella Grecia attuale, un viaggio immaginario nel passato della classicità, un viaggio interiore alla ricerca della riunificazione del sé».
Queste parole di Leonardo Terzo, studioso di teoria della critica, docente di letteratura anglo-americana, all'Università di Pavia, introducucono il saggio sulla plaquette di poesie di Raffaele d’Isa, «Notte a Elounda». L’autore, si legge nell’ultima di copertina, nato nel 1966, ha condotto studi di letteratura, antropologia culturale, metafisica della storia, critica della civiltà e musica.
«L'ideale partenza per la Grecia – annota ancora Leonardo Terzo – parafrasa il viaggio di ritorno che Alcibiade compì quando fu richiamato ad Atene e fu, quindi, costretto a rompere la "sua triade" (lui con Nicia e Lamaco) dalla quale fu "discisso invano" per i noti fatti storici che seguirono. Tutta la vicenda porta in sé un sottofondo di problematicità che ben s'intona (seppure in tutt'altro ordine di idee) con il disagio col quale il poeta sta per affrontare il viaggio verso l'antichità classica alla ricerca del “Fanciullo”».
Sarà poi il fortuito incontro con una donna, che assurge subito a musa, e la successiva partenza con lei verso l'isola di Creta, a restituire, col sopravvenuto amore, una serenità perduta.


Attilio Mazza