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Paolo Rossi
Paragone degli ingegni moderni e postmoderni
Il Mulino, 274 pagine, € 19,00

Alle origini della modernità

di Attilio Mazza

Era tutto sbagliato. Il primo a capirlo non fu uno scienziato, ma un pensatore particolare: Giordano Bruno. Comprese che il cosiddetto mondo a due sfere, quello terreno del consumarsi entro la sfera della Luna, e quello celeste sopra la Luna , immutabile ed eterno, era una falsità. Per secoli, per millenni, gli uomini credettero più o meno così. Ma era sbagliato. Esiste l’infinito, «l’animazione universale».
Giordano Bruno, il teologo eretico, il pensatore, l’araldo martire della nuova e libera filosofia, finì per questo (e per altro) sul rogo in Campo de’ Fiori a Roma nel 1600, condannato dall’inquisizione. Ma il suo De l’infinito universo e mondo del 1584 divenne un libro che fece la storia della scienza, rivoluzionando il pensiero dell’umanità. E sopravvisse al suo tempo.
Non esiste cielo sopralunare fermo e immutabile, dunque; e nessun cielo sottolunare soggetto alla trasformazione, al decadimento. Giordano Bruno lo scrisse a chiare lettere: «il mondo essere infinito» e l’infinità del mondo «prodotta da una Causa infinita». E ancora: « La Terra non è assolutamente in mezzo de l’universo […] Così si magnifica l’eccellenza di Dio, si manifesta la grandezza dell’imperio suo: non si glorifica in una terra, in un mondo, ma in duecento mila, dico in infinito».
Nuova visione – Roba da matti! Giordano Bruno spazzò via il mondo di Aristotele, di Tolomeo, di Dante; un mondo finito e racchiuso entro il cielo delle stelle fisse. Solo un folle poteva annunciare agli uomini una simile verità; un pazzo degno del rogo per i teologi di quel 1600. Ma la verità è sempre una, affermavano i latini: «Veritas semper una est». Tuttavia non si fa riconoscere da tutti. Bisogna essere poeti o mistici, come Giordano Bruno, per vederla in tutto il suo splendore.
Fu un anticipatore, un “apripista”. Nel Seicento e nel Settecento nascerà una nuova visione dell’universo, basata – secondo Arthur O. Lovejoy, teorico della «storia delle idee», autore del saggio The great chain of Being (1936) – su alcuni punti: l’abbattimento delle mura medievali del sapere fondato sulle stelle fisse; la possibilità che altri pianeti del nostro sistema solare siano abitati da creature viventi; la convinzione che le stelle fisse sono simili al nostro Sole, circondate da sistemi planetari; l’infinità dell’universo fisico e del numero dei sistemi solari.
Tesi ignorate dallo stesso Copernico e respinte dai grandi astronomi delle generazioni successive, fra cui Keplero per il quale la Terra rimase la più alta sede dell’universo «l’unica adatta all’uomo signore del creato», ricorda Paolo Rossi, accademico dei Lincei, nel saggio Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, edito dal Mulino, il cui capitolo Il mondo sbriciolato: perdita d’identità nell’età di Galileo, traccia un percorso utile per comprendere la nascita del pensiero moderno.
Duemila anni d’ignoranza – L’età della rivoluzione scientifica segnò il crollo delle certezze di ben due millenni. E precisamente: la Terra non è il centro dell’universo; non esiste una fisica celeste e una sublunare; l’universo è infinito; ogni movimento è spiegato da un motore che lo produce. Alla nuova concezione contribuirà il grande Galileo Galilei, «nato per rischiarare i dubbi dell’astronomia». Lui ed altri scienziati fecero crollare antichissime credenze, a riprova, come afferma Umberto Eco in un recente saggio, che la verità non è tale perché creduta dalle moltitudini.
Addio, quindi, alla supponenza umanocentrica: siamo piccoli, piccolissimi esseri che vivono in uno dei possibili mondi del cosmo infinito. Le nuove affermazioni sulla realtà dell’universo provocarono stupore e smarrimento. Caddero le muraglie del pensiero antico e fu l’avvento di un’era nuova. Molti si chiesero se i rivolgimenti del pensiero non corrispondessero alla fine del mondo e se si fosse ormai giunti all’ultima epoca della storia. Così ritenne anche Francis Bacon, grande filosofo inglese del XVI, Lord cancelliere sotto il regno di Giacomo I Stuart, caduto poi in disgrazia.
L’era del dubbio – Il celebre poeta anglosassone John Donne espresse nei versi di Anatomy of the word (1611) il senso dello smarrimento condiviso da molti: «La nuova filosofia chiama tutti al dubbio…». La tradizione garantiva la verità; il nuovo pensiero insegnava a dubitare di ogni cosa!
«Accanto al crollo di affermazioni per lungo tempo ritenute indiscutibilmente vere – scrive Paolo Rossi –, si ebbe anche la scoperta di una grandissima quantità di cose “nuove”, o prima “mai viste”: stelle, piante, animali, uomini, la Luna , l' America, gli occhi delle mosche, i selvaggi americani, le onde gigantesche dell'Oceano […] Nell'età compresa fra il De revolutionibus di Copernico e i Principia di Newton giunsero a maturazione idee e temi che sono inestricabilmente connessi alla “scienza” e che consentono di accentuare gli elementi di discontinuità con le età precedenti, di renderci conto che nacquero allora alcuni fra gli elementi decisivi ed essenziali».
E in quell’epoca iniziò la «modernità».