CULTURA - A cura di Paola Bonfadini

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Parole come pietre:
I Promessi Sposi di Guido Da Verona


Quando finisci di leggere I Promessi Sposi di Guido Da Verona sei preda d'emozioni contrastanti: stupore, divertimento, ammirazione, disincanto.
L'opera, infatti, suddivisa in trentotto capitoli pubblicati nel 1929, al tempo viene subito messa all'Indice e l'autore accusato di vilipendio alla religione. Guido, mentre passeggia a Milano in Galleria con l'amico editore Dall'Oglio, è persino malmenato da alcuni uomini e le copie del volume sono bruciate.
Quale il motivo d'un così grande scandalo? L'aver inesorabilmente e magi-stralmente smontato parola dopo parola, azione dopo azione la complessa struttura narrativa e ideologica del famoso romanzo di Alessandro Manzoni.
Guido Da Verona (Saliceto Panaro, Modena 1881-Milano 1939) si definisce un esteta "per sartine", divulgatore del "verbo" dannunziano con romanzi apprezzatissimi dai titoli intriganti e curiosi quali Colei che non doveva amare (1911), La vita comincia domani (1913), Mimì Bluette fiore del mio giardino (1916), Sciogli la treccia, Maria Maddalena (1920) e Lettere d'amore alle sartine d'Italia (1924).
Le vicende risultano intrise di compiaciuto e raffinato erotismo, tra femmes fatali e giovani affascinanti. Il risultato? Un enorme successo di pubblico nel primo Novecento.
Da Verona, quindi, si diverte con eleganza ad annientare tutta l'impalcatura moraleggiante manzoniana e lo fa con brio e intelligenza intinti nel sarcasmo più lieve e corrosivo.
Non una parolaccia, non una situazione volgare delineata con minuzia, poiché gli episodi anche scabrosi sono suggeriti più che spiegati: l'allusione, del resto, funziona più che la declamazione arrogante e oscena.
Il risultato è, però, molto molto più irriverente di quanto si pensi. Non si salva proprio nessuno.
Ecco qualche esempio. Innanzi tutto, il famoso Manoscritto dell'Anonimo, oggetto dell'introduzione del Manzoni: Guido cita spesso il fantomatico documento, con riferimenti tanto assurdi quanto ridicoli. Nella premessa, poi, lo scrittore immagina di dialogare con il Manzoni al Cimitero Monumentale di Milano: il conte milanese benedice "la riscrittura" dell'immortale intreccio. La trama è, inoltre, attualizzata e vengono enfatizzati i tratti comici, già presenti nel romanzo manzoniano, di personaggi come Don Abbondio o Perpetua. Lucia fuma sigarette e vuol fare la "bella vita" con il ricco e brizzolato Don Rodrigo: ovviamente la ragazza non muore dalla voglia di sposarsi con un poveraccio come Renzo. Il signorotto spagnolo viaggia con una lussuosa Chrysler modello 70, accompagnato dallo chaffeur in livrea, ossia il feroce "bravo" Griso, e dal cuoco della villa. Don Abbondio ha una durevole liason con Perpetua e, quando quest'ultima muore per la peste, avrà un nuovo legame sentimentale con la stessa Agnese. Padre Cristoforo gioca in Borsa con successo. L'Innominato ha, invece, nome e cognome, è alto quasi tre metri e ha centosessant'anni!
Ma l'opera, oltre agli aspetti grotteschi, nasconde la denuncia sulla soffocante ottusità culturale e sociale italiana sotto il Fascismo. Nulla si salva nella soffusa e penetrante analisi del romanziere emiliano. In primo luogo la Chiesa Cattolica , con le ipocrisie e i mille compromessi: oltre ai già citati Fra Cristoforo e Don Abbondio, di sicuro non specchio di virtù, la Monaca di Monza trasforma il convento in un "giardino d'amore" illecito e così fa Donna Prassede a Milano. Agri sono i giudizi su Alessandro Manzoni che "è passato all'immortalità grazie alla Chiesa, unica dispensiera di eterna gloria, sia che s'incarichi del trasporto funebre attraverso i secoli d'un'opera d'arte conforme a' suoi precetti, sia che bolli di suggelli roventi le eresie degli spiriti liberi e le scomunicate opere dei fulgenti libertini. La Chiesa paga di eternità l'arte che divien paladina dell'idea cattolica; non le basta che sia cristiana; vuole esattamente che sia cattolica. Dove trova un artefice che non sia del tutto un imbecille, disposto a renderle questo facile servizio, lo leva su di peso nelle sue misericordiose braccia, e lo consegna, bene spalmato di crismi e di olii santi, ai doganieri dell'immortalità. Di ciò si mostrano persuasissimi tutti coloro che hanno la prudenza di chiudere una vita infernale con quattro giaculatorie" (op. cit. 2001, pp. 28-29). Lucia diviene un'apprezzata prostituta d'alto bordo, che si concede a tutti tranne che al buon Renzo. L'eterno fidanzato, però, giace con la Contessa Maffei in un alberghetto chiamato "I Promessi Sposi", fugge dalla Milano in tumulto vestito con gli abiti della nobildonna e incontra un prete immorale prima di raggiungere l'Adda. In un'epoca in cui sono stati firmati da poco i Patti Lateranensi, il continuo attaccare la Chiesa Cattolica non passa, allora, inosservato, come non passano inosservate le latenti critiche al Regime e ad aspetti del governo, come la sanità inefficace o la soffocante pressione fiscale. E così pure i modelli educativi rappresentati da Agnese, madre ambiziosa e sensuale, e dal Cardinal Federigo Borromeo, troppo occupato a ridiventare semplice prete per una acclamata pseudoumiltà, minano le fondamenta etiche della società dell'epoca, tutta Dio, Patria e Famiglia.
Non c'è, certo, traccia né di Provvidenza, né di Dio; la peste stessa è una semplice invenzione di medici e politici.
Alla fine, il "sugo della storia" manzoniano viene stravolto. Lucia, a malincuore, accetta di sposare Renzo, ma solo perché avrà un'onorata relazione con l'erede di Don Rodrigo charmant e benestante. Tra figli di Renzo e non, Lucia, dunque, "sempre un bel tocco di brianzolarda" conclude saggiamente: "Il mio Renzo non è certo uno stinco di santo; ma chi mi dice che un altro non sarebbe ancor peggio? E perché lamentarsi? Perché arrabbiarsi?… La vita è breve…" (op. cit. 2001, p. 330).
L'autore aggiunge, così, che "questa conclusione, benché trovata da una semplice donna leccobarda, che forse non aveva il cervello di Leonardo da Vinci, a noi è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia" (op. cit. 2001, p. 330).
A settant'anni dalla pubblicazione la verve deliziosamente acida de I Promessi Sposi di Guido Da Verona colpisce ancora.


Per saperne di più

GUIDO DA VERONA, I Promessi Sposi, La Vita Felice , Milano 2001.