CULTURA - A cura di Paola Bonfadini

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Ritorno dall’abisso?:
I figli degli uomini di Alfonso Cuarón



“Rimpiango di non aver avuto un nipotino!”: i mancati nonni nella nostra società ripetono spesso questa frase. Sono brevi parole che feriscono come cocci aguzzi di bottiglia. Colpiscono con spontaneità e profondità l’intima natura di noi tutti, un bilancio impastato di scelte, paure, forse egoismo e viltà o semplicemente destino.
E nel tardo pomeriggio color rosso sangue del sole che muore, assistere alla vicenda del film I figli degli uomini del regista Alfonso Cuarón fa riflettere ancora di più.
La storia è ambientata nel non lontano 2027, su soggetto tratto dal romanzo di P. H. James. Non si tratta d’un futuro cupo alla Philip Dick, ma una possibile evoluzione del presente. Il mondo sta morendo e da diciotto anni l’umanità è sterile. Ogni cosa risulta in balia della violenza e del disincanto.
Theo (Clive Owen), affermato quarantenne, in una Londra abbruttita e sotto assedio, lavora, ama, come se tutto fosse normale, ma non lo è. Ogni giorno bisogna fare i conti con improvvisi attentati terroristici per strada, affrontare posti di blocco con la polizia in assetto antisommossa. Dall’Europa in fiamme giungono innumerevoli profughi, ospitati in gabbie o in squallidi campi di prigionia.
Ma il fatto davvero drammatico è che non ci sono bambini: a causa dell’inquinamento o di mutazioni genetiche, l’umanità non riesce a procreare. Il risultato? Una lenta e terribile agonia.
Che cosa sperare, se non ci sarà una nuova generazione?
Un mondo a pezzi, la rovina.
L’abile scenografia mostra città sporche, degradate accanto a “ghetti di lusso” in cui si conserva uno barlume di civiltà, come il Ministero della Cultura o Arca delle Arti: qui giacciono i pochi capolavori scampati alla furia annichilente, come il David di Michelangelo mutilato d’una gamba.
Il protagonista, disilluso e disincantato, si trova coinvolto in una situazione ricca, però, di speranza. Contattato dalla donna amata e perduta Julian (Julianne Moore), deve aiutare una giovane profuga di colore, Kee, incinta. La ragazza è in pericolo perché ricercata dalla polizia e anche da un’organizzazione terroristica, The Fishes, i pesci, che vorrebbe usarla come merce di scambio cl governo.
L’apparente tranquilla esistenza del giovane viene sconvolta. Con l’aiuto del padre Jasper, un bravo Michael Caine in chiave hyppie, affronta terribili pericoli fino a portare la donna in salvo su di una nave, la Tomorrow , il Domani, simbolo d’una prospettiva di riscatto per il genere umano.
Non si tratta, allora, d’un vero e proprio film di fantascienza, ma diventa la riflessione sulle conseguenze d’un condizione fin da ora drammatica. Temi di scottante attualità sono affrontati, pur enfatizzati in chiave futuristica, con taglio documentaristico: il disastro ambientale come contraltare dell’ipertecnologiz-zazione; il problema degli immigrati con campi profughi simili a lager e gabbie quali aree di raccolta; l’assuefazione alla violenza con la sopportazione d’episodi di guerriglia e di attentati quasi quotidiani. Non dimentichiamo, inoltre, l’incapacità politica di far fronte al disagio delle popolazioni: l’unica arma usata consiste nelle “maniere forti” tra coprifuoco e posti di blocco.
Gli attori recitano con convinzione la parte, dal disincantato, ma non rinsavito Michael Caine, disegnatore di fumetti politici e padre del protagonista, a Clive Owen sempre più consapevole della missione di salvezza e speranza, cavaliere suo malgrado con “molte macchie e molta paura”.
Conclusione? Rimane, dopo la visione della pellicola la sensazione che il delirio sia già incominciato.
Siamo nell’abisso, però, ma forse non tutto è perduto.


Per saperne di più

ALFONSO CUARÓN, Children of men (I figli degli uomini), Universal Studios 2006.