CULTURA - A cura di Paola Bonfadini

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Sognare lo spazio infinito:
Progetto Giove di Fredric Brown

Mai abdicare ai propri sogni.
Le difficoltà, i problemi, le delusioni? Indispensabili e, purtroppo, necessarie tappe di un cammino. Nella lotta cambiamo, evolviamo.
«Vivere est pugnare» dicevano i Latini con grande saggezza.
Quale sogno? Raggiungere le stelle più lontane, poiché l’umanità è destinata a viaggiare nella galassia.
Max Andrews, anziano ex-astronauta americano, vive il “Sogno dello spazio”: non perde mai la speranza d’una vita errabonda nel cosmo. L’uomo, malato nel corpo, ma fermo e risoluto nell’animo, è il protagonista “disincantato, ma non rinsavito” della celebre opera di Fredric Brown The Lights in the Sky are Stars, romanzo scritto nel lontano 1953 e tradotto con il titolo Progetto Giove nel 1988  (FREDRIC BROWN, Progetto Giove, Mondadori, Milano 1988).
Il libro, ad una prima occhiata, sembra una storia fantascientifica. Gli ingredienti ci sono tutti: la Terra degli Anni Novanta del Novecento, divisa fra speranze tecnologiche e paura dei mali di sempre; razzi veloci collegano in poche ore l’intero pianeta; la “trivvù” tridimensionale informa con immediatezza “il villaggio globale”; gli insediamenti sulla Luna, su Venere e su Marte rappresentano i nuovi confini. Certo, non mancano incidenti, polemiche politiche, finanziamenti ora scarsi ora abbondanti, ma sono molti gli “innamorati dello spazio”. Fra di loro Max, un bravo tecnico specialista in razzi: egli è convinto che la “via delle stelle” sia l’estrema risorsa dell’umanità. Esplorando l’universo, sapremo qualcosa di più su noi stessi.
I cinque ampi capitoli, dal 1997 al 2001, diventano una sorta di diario personale di Andrews: è necessario arrivare su Giove, l’ulteriore frontiera dell’esplorazione spaziale umana. Molte sono le prove, ma il nostro “eroe sofferente” può contare sull’aiuto di motivati alleati. Innanzi tutto, la senatrice Ellen Gallagher, vedova d’un potente politico: la donna farà approvare al Congresso il “Progetto Giove”. Importanti sono il fratello Bill e la moglie Marlene, con i figli Easter e Bill junior, simbolo d’una stabilità familiare tanto bramata. Fondamentali risultano, inoltre, l’amico tecnico Rory Klockerman e il bizzarro scienziato Chang M’bassi, genio matematico e mistico buddista, autore di sorprendenti scoperte sui propellenti per astronavi e sui viaggi interstellari (“Buddista, mistico, matematico, nel complesso era un ragazzo meraviglioso”, op. cit. BROWN 1988, p. 72).
Nel turbinio degli avvenimenti, grazie soprattutto al coraggio e all’amore di Ellen, l’astronauta pare realizzare il Sogno: sarà lui il responsabile tecnico del “folle volo”. Ma ecco l’imprevisto: l’uomo commette l’errore di dare alcune referenze false e non viene accettato nello staff organizzativo ( “Di colpo la vita sorrideva al vecchio astronauta. Ero più felice di quanto non fossi stato da anni, troppi anni per non provare un senso di disagio”, op. cit. BROWN 1988, p. 60). Poi, cosa ancor più grave, muore per un male incurabile l’amata. L’individuo, però, rimane fedele all’ideale per merito di M’bassi. Il giovane sta compiendo esperimenti strani ed inquietanti. Perché, del resto, usare un carburante chimico ed impiegare anni o secoli, se disponiamo del propellente più economico, immediato e quasi inesauribile, ossia la forza del pensiero? La morte apparente dello studioso porterà aspettative ed inquietudini in Andrews.
Al tecnico non rimane che portare il nipotino ad assistere, insieme ad altre migliaia di persone, al primo volo del razzo che porterà l’umanità nell’infinito: “Fuggire, Dio sa quanto abbiamo tutti bisogno di fuggire dal nostro piccolo mondo. È la necessità di attuare questa fuga che ha spinto l’uomo a realizzare tutto ciò che ha realizzato, una volta soddisfatti gli appetiti corporali. È questa la necessità che l’ha avviato per sentieri nuovi e meravigliosi, che lo ha condotto all’arte e alla religione, all’ascetismo e all’astrologia, alla danza e all’alcool, alla poesia e alla pazzia. Sono  tutte fughe, perché solo recentemente l’uomo ha imparato qual è la direzione giusto verso cui evadere: l’esterno, l’infinito e l’eternità, lontano dalla superficie rotonda, ma pur sempre piatta dove siamo nati e dove continuiamo a morire, Questo grumo di fango nel sistema solare, quest’atomo nella galassia” (op. cit. BROWN 1988, p. 152). E aggiunge, in conclusione: “Aspettando nel buio che trattiene il respiro, mi sento umile davanti a lui e davanti a te, davanti all’uomo e al suo futuro, davanti a Dio se c’è un Dio prima che lo diventi l’uomo” (op. cit. BROWN 1988, p. 153).
Viaggiare con la forza del pensiero, per il momento, rimane una pratica di qualche illuminato e saggio maestro buddista.
Alla fine dell’appassionante lettura sorge, spontaneo, un interrogativo: ma Progetto Giove è davvero science-fiction?
Le  indicazioni futuribili non mancano, ma le riflessioni dei personaggi pongono la vicenda ad un livello più articolato. Nei tentativi di esplorare il cosmo da parte di Max si leggono, infatti, essenziali problematiche esistenziali e conoscitive quali il rapporto scienza e fede, realtà ed ideale, umano e divino, amore e dolore. Brown fa dire al protagonista: “In alto, molto più in alto, brillavano le luci del cielo che sono stelle. Dicono che non le raggiungeremo mai perché sono troppo lontane: è una bugia. Ci andremo. E se i razzi non basteranno, qualcosa salterà fuori” (BROWN, op. cit. 1988, p. 23). E pensando al nipotino, Max ribadisce: “Dopo un po’ lo posai  e guardai il cielo aspettando di vedere un razzo. Pensavo ad un mucchio di cose: a Billy, il figlio di mio fratello, che a sei anni aveva ancora il Sogno e voleva fare l’astronauta. Voleva le stelle e mi chiesi se fosse il mio esempio a fargliele desiderare o le space opera trasmesse alla trivvù. Non importava, pensai. Purché tenesse il Sogno e lo conservasse. Sarebbe stato un altro visionario, un altro entusiasta. Dobbiamo essere in tanti, perché quando saremo in tanti…” (op. cit. BROWN 1988, p. 25).
Il vecchio, per di più, risulta lontanissimo dagli stereotipi del superuomo spaziale o del supereroe alla Kirk o alla Neo di Matrix: è risoluto (”Io non credo nei limiti”, op. cit. BROWN 1988, p. 54), ma anche problematico ( “Ecco il futuro e io c’ero dentro. Dovevo far pace con me stesso se volevo continuare a viverci, dovevo affrontare la verità senza vigliaccherie e senza amarezze. Senza troppe amarezze, per lo meno”, op. cit. BROWN 1988, p. 143). È privo d’una gamba a causa di un incidente sul lavoro, ha cinquantasette anni, s’innamora  d’una donna non più giovanissima, la senatrice Gallagher di quarantacinque anni, destinata ad una morte certa (“Perché amavo Ellen? Era come chiedersi perché la mano ha cinque dita”, op. cit. BROWN 1988, p. 77).
L’amicizia e la collaborazione di Andrews con il matematico M’bassi esprimono la continua tensione tra scienza e fede, tra esistenza di un dio, principio ordinatore del creato, ed autodeterminazione umana: “Il misticismo mi annoiava fino alle lacrime; la scienza, a parte i regni incontaminati della matematica superiore, non aveva per lui alcun interesse. Eppure, in qualche modo, diventammo amici” (op. cit. BROWN 1988, p. 72); “Forse potremmo avere tutto questo e le stelle senza la religione: ma intanto tu hai la scienza. Io mi tengo la religione: a ciascuno il suo cavallo per raggiungere il cielo” (M’bassi, op. cit. BROWN 1988, p. 80).
La società americana del futuro prossimo, inoltre, è piena d’ipocrisia, di egoismo specialmente nelle relazioni politiche. Il deux ex-machina della situazione, negli oscuri anni Cinquanta, è, invece, uno scienziato di colore Masai, salvato da una terribile epidemia per merito di un medico cinese.
Qualche riferimento di metafantascienza si coglie nei riferimenti che l’autore fa alla sua stessa produzione  letteraria: Max impara ad amare lo spazio, leggendo Assurdo universo, composto realmente dallo scrittore americano: “Tutto comincia con un libro che ho letto quando ero ragazzo, uno dei primi romanzi di fantascienza. Non ricordo l’autore, ma il titolo era Assurdo universo o qualcosa del genere” (op. cit. BROWN 1988, p. 103); “Fin da quando ho imparato a leggere ho divorato tutta la fantascienza su cui sono riuscito a mettere le mie piccole mani: fumetti (te li ricordi?), riviste e romanzi veri e propri” (op. cit. BROWN 1988, p. 111).
Anche una situazione fantascientifica, dunque, è in grado di dar forma, con l’utilizzo delle caratteristiche e dell’ambientazione avveniristiche, ansie ed inquietudini di una società e di un contesto storico ben preciso.

Per saperne di più

FREDRIC BROWN, Progetto Giove, Mondadori, Milano 1988.