CULTURA - A cura di Paola Bonfadini

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La fiamma del tuo ardore:
su alcune cantate da camera di Luigi Rossi (1597 ca.-1653)


Difficile? Semplice? Parlare e scrivere d’amore, mettere in musica emozioni impalpabili è quanto di più semplicemente complicato ci possa essere. La fiamma del vivo ardore, i  dolenti pensieri, la fortuna degli amanti rappresentano il tema-chiave della storia e dell’umanità intera. L’amore si sente si gusta si percepisce: come dice Virgilio, è qualcosa che si può soltanto vivere, non descrivere, perché Amoris vulnus idem qui fecit sanat (“Colui che provoca la ferita d’amore è l’unico in grado di guarirla”). Non ci sono remedia amoris, efficaci medicine di ovidiana memoria. Forse l’unica cura è sublimare l’affetto nella poesia, come fanno Dante e Petrarca o i trovatori provenzali. Tutto è magma incandescente: ha ragione Francesca nel canto quinto dell’Inferno dantesco quando afferma che Amor a nullo amato amar perdona.
Le molteplici sfumature del sentimento sono efficacemente descritte in versi e musica dal compositore pugliese Luigi Rossi (Torremaggiore 1598 ca. – Roma 1653), secondo i contemporanei “novello cigno d’Italia”, celebre autore di musica vocale sacra e profana attivo a Roma e nella Francia del Cardinal Mazarin.
Alcune tra le più belle e suggestive “cantate da camera” sono riproposte in un’elegante cd del gruppo musicale “La Risonanza” intitolato La più bella più bella (Stradivarius, 1998). Gli esecutori, Emanuela Galli (soprano), Gloria Banditelli (contralto), Sergio Foresti (basso), con l’accompagnamento strumentale di Franco Pavan alla tiorba e Fabio Bonizzoni al cembalo, dipingono una dimensione affettiva e sonora in cui palpiti e sospiri  sono espressi da una melodia, lieve commento al complesso tessuto interiore.
L’amore, in Luigi Rossi, è gioia e dolore, qualcosa di dolcemente straziante capace di sovvertire fin dalle fondamenta il nostro animo. Non c’è vincitore né vinto: uomini e donne, come in una miniatura ispirata ai Trionfi petrarcheschi, sono sudditi dello spietato Cupido, dei suoi dardi ciechi ed acuminati. Al musicista pugliese non resta che commentare i vari passaggi affettivi esaminandone i molteplici aspetti: i tormenti in Or ch’in notturna pace, per soprano, contralto e basso; i Dolenti pensier miei che non danno mai pace, per soprano, contralto e basso. L’animo, infatti, viene quasi tramortito dal costante e lacerante pensiero della persona amata. Senza dimenticare la passione non corrisposta ed ignorata in Lascia speranza ohimé per contralto. Seconda la sensibilità secentesca, chi ama soffre, poiché gli amanti sono vittime della Fortuna (Or guardate come va per soprano). Non mancano cenni  all’amore tradito come in Che cosa mi dite per soprano o alla pena d’amore come in Pietà spietati lumi per soprano, contralto e basso.
Come spiega Franco Pavan nell’introduzione al cd, “le circa trecento composizioni profane oggi conosciute di Luigi Rossi ci rivelano un compositore di altissima levatura”, in grado di utilizzare forme espressive come la “canzonetta” , le “cantate” a due, tre voci con commento strumentale. L’impressione è, comunque, che, pur nella brevità dei pezzi, si respiri un’evidente attitudine “melodrammatica” in cui parole e suono si fondono armoniosamente.
I brani strumentali, che si alternano alle parti vocali, infine, sono di musicisti dell’epoca, in quanto poche sono le testimonianze del Rossi a parte la Passacaille del Seig Louigi per clavicembalo: esse, tuttavia, contribuiscono a creare un’atmosfera in cui l’impeto della passione si stempera nella dolce nostalgia del ricordo.
Come affrontare, quindi, secondo la cultura del Seicento la fiamma del tuo ardore?
Il musicista meridionale ha un’unica lapidaria risposta musicale (cantata per soprano e basso): Soffrirei con lieto core.


Per saperne di più

- LUIGI ROSSI, La bella più bella, a cura di LA RISONANZA e FABIO BONIZZONI Stradivarius, 1998.