Il pianeta di Paola Bonfadini

SESSANTESIMA TAPPA


Specchio, specchio:

La profezia della curandera

di Hernán Huarache Mamani



Essere donna: all’alba del Terzo Millennio è sempre più difficile e complesso.

Certo, studiamo spesso, lavoriamo anche, mentre le nostre bisnonne hanno lottato duramente come suffraggette, le nostre nonne hanno votato per la prima volta in Italia nel 1946, le nostre mamme hanno vissuto le contraddizioni del Sessantotto. Nella penisola italiana, il referendum sul divorzio, sull’aborto, le modifiche al diritto di famiglia segnano tappe importanti per i cambiamenti del ruolo della figura femminile.

Noi donne, infatti, studiamo di più, lavoriamo di più, facciamo spesso “lavori da uomini”.

Ma è questa la libertà per la donna? Questa l’emancipazione?

Su tali problemi si interroga Hernán Huarache Mamani, “indio nato a Chivay, un villaggio della Cordigliera delle Ande, sacerdote e curandero, ultimo erede di un’antica generazione di curanderos andini”, come recita il risguardo del recente libro La profezia della curandera.

L’autore, attraverso le tormentate vicende di una giovane e bella india, Kantu, innamorata di un ragazzo bianco, Juan, traccia un interessante affresco della società andina e delle millenarie tradizioni curative e mediche.

Scorre sotto i nostri occhi un itinerario particolare, fatto di “uomini e donne serpenti”, vecchie sacerdotesse, riti e consuetudini che contrastano con il fragore e il rumore delle società cittadine.  Lo scrittore, nel corso della vicenda, dà consigli di tipo fisico e spirituale perché soprattutto noi donne possiamo ricollegarci all’antica sapienza, di cui siamo figlie.

Il cammino evolutivo di Kantu, con sofferenze e prove, incarna simbolicamente le difficoltà ed ansie che ciascuna donna è costretta a vivere nella suo percorso psico-fisico, in nome di una consapevolezza e autorealizzazione complete.

Il testo da leggere è decisamente ben tradotto da Barbara Cavallero in un italiano piano e scorrevole e, quindi, si rimane affascinati da una dimensione arcaica, plasmata di memorie ancestrali, atmosfere lontane e fascinatorie.

Difetti?

Qualcuno, forse.

A cominciare proprio dall’immagine proposta della donna. Kantu è giovane, bella, passionale, intelligente, vittima, però, d’un sentimento annichilente per Juan. Quest’ultimo, ricco rampollo d’una famiglia bianca, desidera la ragazza, ma non l’ama: è infedele, ambizioso, superficiale. L’india abbandona famiglia, studi, città per rifugiarsi sulle montagne: qui carpirà i segreti per conquistare in modo definitivo il ragazzo. E alla fine coronerà il sogno d’amore.

Al termine della lettura, così, specialmente se donne, rimane un fastidioso sapore d’amaro in bocca. Proviamo amarezza per una giovane che abbandona gli studi per un affetto non corrisposto ed autodistruttivo; delusione per una donna che si avvilisce nelle più dure prove pur di raggiungere una sedicente consapevolezza di sé; dolore nel vedere che Condori, curandero di fiducia di Kantu, non è un maestro di saggezza, ma una specie di “maestro d’amore”, esperto in bizzarre “tecniche ginniche”. Indigna, inoltre, trovare nel testo affermazioni secondo cui gli uomini sono attratti da una creatura femminile per il potere magnetico che sprigionano i suoi genitali; infastidiscono, ancora, le frequenti accuse contro la religione cristiana, considerata sessuofobica e superficiale. Infine, suscita dispiacere costatare che una donna innamorata si presta a tutto pur di conquistare un individuo fatuo, egoista ed infedele invece che cancellarlo definitivamente dalla personale esistenza.

Qualche frase d’esempio: “Sia Anselmo che Condori le avevano detto che le donne sono in grado di proiettare il loro potere interiore servendosi degli occhi” (p. 238); “il movimento della donna deve essere come una carezza” (p. 240).

Forse una delle affermazioni che si salva nel volume è la seguente, riportata dal saggia Mama Maru: “Se vogliamo ottenere qualcosa dobbiamo osare, dobbiamo affrontare gli ostacoli che si presentano quotidianamente sulla nostra strada e che fanno parte della vita. Solo affrontandoli s’impara. Dobbiamo essere audaci e rischiare. Gli ostacoli superati ci irrobustiscono e ci fanno crescere come esseri umani perché ci permettono di avvalorarci” (p. 244).

Poco mi consola, comunque,  essere considerata “Tempio dell’Amore”, “Maestra per l’uomo” (p. 250) se ciò implica un soffocante ripetersi ancestrale di ruoli e funzioni gerarchizzate, tipiche di una società patriarcale e maschilista, la cui origine si perde nella notte dei tempi!

Per saperne di più:

- HERNÁN HUARACHE MAMANI, La profezia della curandera, Piemme, Casale Monferrato 2001.