A cura di Rosa Roselli

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DE CHIRICO 

(Padova, Palazzo Zabarella)




G. de Chirico, Spettacolo misterioso, 1971


“Per avere pensieri originali, straordinari, forse immortali è sufficiente estraniarsi dal mondo e dalle cose per certi momenti in modo così totale che gli oggetti e i processi più ordinari appaiono assolutamente nuovi ed ignoti, sicchè in tal modo si dischiude la loro vera essenza. Quel che si richiede qui non è qualcosa di difficile; ma non è assolutamente in nostro potere ed è appunto il dominio del genio” (Schopenhauer).

Giorgio de Chirico (Volo, Grecia, 1888 – Roma 1978) si appassiona al disegno fin da bambino e i suoi primi soggetti sono tritoni, nereidi, centauri, i protagonisti del mito conosciuto nella sua infanzia in Grecia. Nel 1899 è ad Atene e si iscrive al Politecnico di questa città imbevuta di cultura tedesca, perché la monarchia, iniziatasi nel 1833 con Ottone di Wittelsbach, è di origine bavarese. Morto il padre nel 1905, de Chirico l’anno successivo è a Monaco di Baviera, dove, tra il 1908 e il 1909, crea i suoi primi lavori importanti. Le sue fonti di ispirazione sono Bocklin e Klinger; qui approfondisce lo studio della pittura romantica e dimostra di non apprezzare gli artisti della Secessione. Da Monaco (1909) parte per Milano, dove risiedono la madre e il fratello; nel 1910 sceglie Firenze come luogo di abituale dimora. La vita da nomade segna il carattere di de Chirico, è preso da ossessioni e fobie, oltre che da costante forma di malinconia.

Con l’opera “La partenza degli Argonauti” (1910) inizia il percorso di Giorgio de Chirico, in cui rientrano i ricordi della Grecia perduta, i riferimenti culturali (Leopardi, Nietzsche, Schopenhauer), la cultura archeologica.

La prima visione del de Chirico metafisico avviene a Firenze, in piazza Santa Croce, per la suggestione letteraria di Nietzsche, il cantore dell’ora meridiana e dei velieri che portano su “mari inesplorati”, e di Schopenhauer. Si va così affermando nell’artista il concetto di arte come “rifacimento fantastico delle cose”, da cui nasce la prima opera “metafisica”, inizialmente da una condizione meditativa, nella quale si pone attenzione, nel silenzio, ad un’altra realtà, poi da uno stato creativo in cui si attua la sospensione del tempo e si mescolano l’antico con il moderno, mentre lo spazio architettonico, seppur vuoto, è pieno dei ricordi dell’infanzia, di suggestioni poetiche e di riflessione sulla storia dell’arte. Con l’opera d’arte metafisica de Chirico è fuori dallo spazio e dal tempo, è andato oltre.

Nel 1911 l’artista è a Parigi e al Salone d’autunno (1912) espone tre sue opere ben lontane dallo spirito della Avanguardie allora dominanti: Futurismo e Cubismo. Nei quadri del soggiorno parigino emerge la città con le piazze ampie e i portici (“urbanistica metafisica”), dominate da torri imponenti, che sembrano rievocazioni piene di nostalgia di edifici italiani (Mole Antonelliana, Mausoleo di Cecilia Metella…). Tuttavia in questi lavori il pittore introduce anche ciminiere e stazioni, simbolo della modernità, che affascinano Guillaume Apollinaire, il poeta che per primo definisce “metafisici” i quadri de de Chirico. “L’arte di questo giovane pittore è interiore e cerebrale…questi dipinti stranamente metafisici” (1913). Apollinaire introduce il Nostro nella Parigi degli intellettuali e così de Chirico conosce Brancusi, Derain, Jacob ossia quegli artisti che lo stesso de Chirico chiama “la masnada internazionale dei pittori moderni”.



G. de Chirico, La famille du peintre, 1926


Ne « Il vaticinatore » (1915) compare un manichino con l’occhio centrale a forma di stella. Da questo momento i manichini sono una costante presenza nei lavori dechirichiani e sono definiti ora pensatori o vaticinatori, ora filosofi o saggi. Essi rappresentano un’umanità che ha il possesso della visione, ossia è l’uomo superiore che si distingue per quell’occhio centrale della mente, che comporta la cecità fisica. Il vate per eccellenza, Omero, era cieco, così come lo erano il veggente Tiresia e il saggio Edipo. L’artista, nel 1915, scriverà che provare entusiamo per le cose metafisiche serve “un’intelligenza rara, molto rara…dono degli dei”.

Allo scoppio della prima guerra mondiale de Chirico è a Firenze, dove con il fratello incontra Soffici, poi i fratelli si trasferiranno a Ferrara, città “quanto mai metafisica” che induce l’artista a stati d’animo malinconici e di abbandono, per cui in questo periodo (1917-18) i manichini sono l’esplicita manifestazione della sua solitudine. La vita del pittore poi  si snoda tra esperienze contrastanti: l’avventura surrealista, l’adesione al fascismo e il suo rinnegamento quando sono promulgate le leggi razziali (de Chirico ebbe due mogli ebree), il ritorno a Parigi e la pittura neobarocca fino all’autocitazione (Anni Cinquanta-Settanta) ossia de Chirico diventa manierista di se stesso. Sarà Guttuso nel 1970 a rivalutare il Maestro e la sua attività.



G. de Chirico, L’énigme de l’arrivée et de l’après-midi, 1911/12


La mostra segue un percorso cronologico in 100 capolavori, da intendersi come un viaggio intellettuale e poetico nell’arte del XX secolo, che permette di scoprire tutto ciò che di magico e di inquietante c’è nell’arte dechirichiana.

La mostra è visitabile fino al 27 Maggio 2007



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