A cura di Rosa Roselli

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Orientalisti 



G. Oprandi, Il canale di Suez, 1926


Con l’età romantica nasce il gusto per l’esotico che, inizialmente, volge la sua attenzione al mondo caraibico, considerandolo una realtà di favola, dalla natura incontaminata, letterariamente ben rappresentata nel romanzo “Paul et Virginie” di Bernardin de Saint-Pierre.

Nel secondo Romanticismo l’interesse degli intellettuali e degli artisti si volge verso l’Africa, a quel tempo terra di conquista da parte delle grandi potenze europee come Francia e Inghilterra, favorendo così lo sviluppo di una corrente pittorica contraddistinta con il termine di “orientalismo”. Nella nostra cultura questo concetto significa esotismo e coagula la suggestione tipicamente occidentale verso modi di vita completamente estranei alle civiltà evolute.

L’interesse per il mondo africano è particolarmente vivo in un gruppo di pittori bergamaschi, desiderosi di uscire dai confini nazionali,ma spinti anche dalla curiosità e dalla volontà di ammodernare il gusto. Dapprima essi guardano all’Algeria e, in tempi successivi, la Libia diventerà oggetto di raffigurazione fino a giungere, negli Anni Trenta del Novecento, all’Africa Orientale. L’arte orientalista non ha riscosso nell’immediato il favore del pubblico, perché c’era opposizione contro tutto ciò che era giudicato “pittoresco”. Oggi l’orientalismo ammalia, perchè offre le più diverse emozioni “capaci di trasmetterci ciò che è altrimenti ineffabile” (Rossana Bossaglia).

Tra i pittori italiani, dediti a questo gusto pittorico, si ricordano Alberto Pasini, il più importante, benché legato alla cultura e al mercato francese, e Fausto Zonaro che lavorò in Turchia, presso la corte di Costantinopoli, per oltre vent’anni..Nell’Ottocento i temi preferiti sono l’antico Egitto, le odalische, Cleopatra; negli Anni Venti del Novecento, con la politica coloniale, si riprende il discorso sull’orientalismo e quindi la politica riesce a coinvolgere gli artisti, sollecitandoli a dedicarsi a questo tema.


L. Brignoli, Interno arabo, 1939


Di sicuro l’orientalismo non è né un movimento né uno stile, ma la politica coloniale impone questo gusto artistico anche con l’organizzazione di una Mostra Internazionale di Arte Coloniale (1931), perché l’intenzione è dimostrare che l’arte coloniale non deve essere giudicata di minore importanza: “non bisogna inferire dal particolare esotico, motivo di novità o di curiosità, una ragione d’arte, ma bisogna considerare s’esso s’è tramutato in arte, oppure se, suo malgrado, l’opera che lo contiene è opera d’arte” (M. Biancale, 1934).

Nel 1936 alla Permanente di Milano viene inaugurata una Mostra di Arte Coloniale e, nel 1940, a Napoli, si tiene una grande esposizione storica “Le terre d’Oltremare e l’arte italiana dal Quattrocento all’Ottocento”, affiancata da “Le terre d’Oltremare e l’arte italiana contemporanea”, in cui si celebra l’eroe bergamasco Antonio Locatelli, autore di numerosi disegni e acquerelli d’impronta africanista.

Nell’ambito orientalista Brignoli, Oprandi, Locatelli e Quarti, tutti bergamaschi, sono dunque gli artisti che qui si vuole ricordare.

Luigi Brignoli (Palosco, Bergamo, 1881 – Bergamo 1952) frequenta l’Accademia Carrara di Bergamo come allievo di Tallone e Loverini e, per due anni, i corsi di Brera a Milano. Partecipa nel frattempo a numerose mostre, è apprezzato per i suoi paesaggi di tradizione lombarda ed è molto stimato come ritrattista. Nel 1922 è in Algeria, a Biskra, dove dipinge per molti mesi, poi nel 1923 si sposta in Tunisia. I lavori eseguiti in Africa sono esposti, nel 1923, al Circolo Artistico  Bergamasco  ed ottengono un lusinghiero successo di pubblico. Come orientalista Brignoli è estraneo ad ogni forma di retorica esotica, s’immerge nel nuovo ambiente per riviverlo con colori e paesaggi propri di quel paese.



G. Oprandi, Dono di nozze, 1929


Giorgio Oprandi (Lovere 1883 – 1962) frequenta inizialmente i corsi all’Accademia Tadini di Lovere per poi accedere all’Accademia Carrara di Bergamo con Loverini. Nel 1913 gli viene assegnato il Legato Oggioni che gli consente di soggiornare a Roma per tre anni così da assimilare le nuove tendenze artistiche, tra cui alcuni aspetti del Simbolismo da lui risolti in un puntinismo sensuale. Partecipa alla Grande Guerra come rilevatore topografico e dipinge i luoghi montani e la trincea.

Nel 1923 incominica con Brignoli l’avventura africana in Algeria, dove “ero andato…proprio e soltanto a dipingere”. Le numerose impressioni della terra d’Africa, riportate sulla tela, vengono assai apprezzate nella sua Città, per cui Oprandi si sente incoraggiato a ritornare in Africa che considera essere per lui “l’America, avendomi portato fortuna. Ma quello che più mi risospingeva verso il Continente Nero era il fascino delle sue luminose e silenziose solitudini provate laggiù”. Nelle opere africane si evidenzia il raffinamento delle sue qualità e si notano l’entusiasmo e il fervore produttivo di un artista che dimostra di essere in uno stato di felice benessere. E’ come un bambino pieno di sogni, ma è anche un curioso esploratore che dipinge un’Africa profonda e intensa, morbida e placida nei colori.


R. Locatelli, Lo scrivano arabo, 1933



Romualdo Locatelli (Bergamo 1905 – Manila 1943) nasce in una famiglia di artisti (il padre è affreschista), frequenta i corsi all’Accademia di Carrara di Bergamo. Nel 1927 inizia con l’amico e collega Quarti la sua esplorazione africana che ha come prima tappa la Tunisia. Forse tra gli orientalisti è il meno interessato, dal punto di vista pittorico, all’Africa perché dipinge secondo repertori fissi. Negli ultimi anni della sua vita è in Estremo Oriente, dove esegue ritratti di danzatrici, di notabili e dipinge paesaggi. Scompare misteriosamente nei pressi di Manila.

Ernesto Quarti (Bergamo 1907 – 1982) segue i corsi dell’Accademia di Carrara e lavora nello studio del decoratore Fasciotti e in quello dell’affreschista Marigliani. Nel 1927 compie il suo primo viaggio in Africa con Locatelli. Quarti rappresenta i soggetti africani con pochi elementi: di solito gli arabi sono avvolti nei loro bianchi mantelli e sono accoccolati sulla sabbia. Il suo modo di dipingere ricorda le riprese fotografiche con il grandangolare. Passa da una tavolozza materica ad una pennellata più chiara. Nella produzione di Quarti la fase orientalista è solo un momento della sua attività, perché, a partire dal 1937, il suo modo di dipingere mostra di essere in via di evoluzione.

L’avventura africana di questi pittori non è stata solo una fase episodica del loro impegno artistico, ma è stato un gesto d’amore verso una terra che ha dato loro soddisfazione e che costituisce un capitolo significativo per la pittura orientalista italiana del Novecento.



E. Quarti, La favorita, 1929

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