A cura di Rosa Roselli

Tutti i diritti riservati

Guido Cadorin 



G. Cadorin, Giovani signore


Guido Cadorin (Venezia 1892 – 1975), allievo di Laurenti e di Tallone, compie il suo percorso artistico tra Liberty, Secessionismo, Realismo magico e Novecento con la convinzione che un pittore debba anche confrontarsi con l’architettura, l’affresco e l’arte applicata per essere veramente completo.

La sua è, inoltre, una famiglia d’artisti: il padre e due fratelli scultori, pittrice la sorella Ida, moglie di Zoran Music. Guido assimila così l’amore per l’arte fin dai primi anni di vita e quando, nel 1908, la Biennale dedica una sala alla produzione della famiglia Cadorin, anche il giovanissimo Guido è presente. L’artista sarà di nuovo alla Biennale nel 1924 e, a partire dal 1936, vi parteciperà ininterrottamente.

La fama gli è data da due lavori che mettono in evidenza le sue eccezionali doti di artista dell’affresco e di decoratore, ma anche la sua eclettica formazione culturale: la decorazione del Grande albergo degli Ambasciatori a Roma e della “Stanza dei sonni puri” del Vittoriale (Gardone Riviera) dove, ospite del poeta Gabriele D’Annunzio, Cadorin lavora tra l’agosto del 1924 e il febbraio del 1925. Questa stanza, chiamata anche “Zambra del misello” (Camera del povero) è meglio conosciuta come “Stanza del lebbroso”, perché D’Annunzio sosteneva di essere lui il lebbroso, cioè il toccato da Dio. Cadorin si dedica con grande trasporto ai lavori del Vittoriale, curando anche l’esecuzione delle vetrate, delle lampade, delle dorature, del letto a forma di culla-bara, del rivestimento delle pareti in pelle di camoscio. Nella stanza si possono ammirare anche quadri notevoli del Nostro come “Cristo e la Maddalena ” e “San Francesco che abbraccia D’Annunzio lebbroso”.


G. Cadorin, Il rito del baciamano


Questa esperienza è utile a Cadorin per migliorare il suo stile ed affinare la sua cultura; la frequentazione con il sommo Vate gli ha permesso di conoscere persone e, soprattutto, personaggi importanti che gli procurarono numerose commissioni come la decorazione del Grande albergo degli Ambasciatori a Roma, il mosaico nell’abside della chiesa di San Giusto a Trieste nel 1930 e gli affreschi del Palazzo di Giustizia a Milano nel 1939.

Tuttavia l’incarico più importante della sua vita fu proprio il Grande albergo degli Ambasciatori, che sarà uno dei punti di riferimento della dolce vita romana, sito in via Veneto (Roma) e progettato dal Piacentini.

Cadorin inizia i lavori nei primi mesi del 1926, suscitando la curiosità della società aristocratica, borghese e degli intellettuali con il suo progetto, ossia rappresentare nei cinque grandi pannelli a fresco personalità non del passato, bensì del presente. Tutti quindi vogliono essere raffigurati in quel lavoro, in cui Cadorin andava inserendo i ritratti di Riberto Papini, storico dell’arte, della famiglia dell’architetto Clerici, del maestro Crepax, dello storico Francesco Sapori, dell’architetto Marcello Piacentini. Molti si raccomandano direttamente all’artista come l’architetto Giò Ponti, raffigurato mentre sporge col viso da una colonna (foto 3, a sinistra); la potentissima, in quanto amante del duce, Margherita Sarfatti, protettrice di Sironi e di Funi), che disse al pittore: “Mia figlia ed io desidereremmo essere ritratte nel tuo affresco e così entrare nell’immortalità”. Cadorin obbedisce e la Sarfatti con la figlia Fiammetta è ritratta dietro al gentiluomo intento al baciamano (Vedi foto 2). Tuttavia pochi mesi dopo l’inaugurazione dell’opera, Mussolini, informato delle chiacchiere sulla presenza della Sarfatti nell’affresco, fece coprire tutto con tende di seta. L’ottimo lavoro, in stile vagamente Decò, cade così nell’oblio e ancora oggi questa preziosa testimonianza di quel periodo storico e culturale è completamente dimenticata.



G. Cadorin, La società italiana degli Anni Venti




Archivio