A cura di Rosa Roselli

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AMERICA! STORIE DI PITTURA DAL NUOVO MONDO

(Brescia, Museo di Santa Giulia)



F. H. Lane, Le Camden Mountains viste dall’entrata sud del porto, 1859

Questa grande rassegna espositiva, concepita come “il racconto, meglio il romanzo, di un secolo nel quale si assiste allo “sterminato canto della natura” da parte dei componenti della Hudson River School, ai viaggi di artisti USA alla scoperta del Sud America o dell’Italia, poi all’emozione dei nuovi territori dell’Ovest, con gli spaccati di vita di Indiani e cow-boy, fino alla pittura impressionista d’oltreoceano e alla grande ritrattistica nell’ultima parte del secolo”, curata da Marco Golden, è vastissima, suddivisa in sette ampie sezioni che suscitano meraviglia portando il visitatore alla scoperta di un’arte, quella statunitense, poco conosciuta nel nostro Paese.

La visita alla mostra si articola come un itinerarium mentis che, se da una parte introduce alla conoscenza della storia e dei miti di un grande popolo, dall’altra è decisamente fondata sulle emozioni che le opere proposte provocheranno nell’animo di ogni visitatore.

La “Hudson River School”, fondata da Thomas Cole, raccoglie tra il 1825 e il 1875 un gruppo di pittori la cui attività è volta a celebrare il proprio Paese mediante grandiosi e splendidi paesaggi. La pittura di paesaggio, prima del 1825, era stata trattata solo in maniera sporadica, seppur con ottimi risultati, ma il primo vero paesaggista americano è stato Thomas Cole che, nonostante risenta della lezione culturale europea (in particolare di quella britannica) ha saputo dare una visione tutta nazionale della natura.


T. Cole, Fiume nelle Catskill Mountains, 1843


Seguace del filosofo Emerson per il quale Dio non si identifica con la Natura , ma in essa si rivela, Cole rimane in ascolto della Natura senza turbarne il silenzio. Cole vuole esprimere il bisogno di verità, di durata della nuova nazione e non potendosi riagganciare ad un passato eroico, rinviene le proprie origini nell’immensa natura. Di essa si rappresenta la “wilderness” ossia la selvatichezza di luoghi incontaminati e inospitali, tipici di quel territorio, ma anche la vasta estensione e l’aspetto spettacolare dei medesimi. I luoghi prediletti da ritrarre sono quelli simbolo del paesaggio americano, come la “Veduta delle White Mountains” di Cole (1827) e “La valle del fiume Hudson”, di Durand (1851).

L’allievo di Cole, Edwin Church, sa fondere armoniosamente lo studio della natura con la grandiosità della composizione così da risultare il migliore tra i suoi contemporanei. Maestro e allievo ebbero immediatamente grande successo, ma l’attenzione alla luce e al colore si accentua nella seconda generazione di artisti come Gifford, Heade, Inness, Kensett che resero meno riconoscibili i luoghi da loro rappresentati in quanto furono più sensibili all’effetto luministico, alla qualità del colore per cui nei loro paesaggi l’atmosfera luminosa esalta l’aspetto lirico della veduta. Un altro elemento che i pittori dell’Hudson River School amano raffigurare è l’acqua e, in particolare, la cascata come manifestazione della forza della natura che con la sua maestosità affascina il pittore. In questi lavori si giunge al sublime ossia a ciò che “innalza, rapisce, trasporta”. L’estetica del sublime si sviluppa dapprima con i pittori inglesi che esprimono però un sublime pittoresco. In America il tema della cascata non viene inteso come celebrazione trionfalistica di forza, ma come un paesaggio che dà senso di equilibrio, dove la luce che scende dal cielo richiama la pittura di paesaggio inglese, ad esempio, di Constable.

George Inness ha dipinto “Le Cascate del Niagara in blu” (1884), esempio di come la ricerca del sublime in pittura amasse, talvolta, anche un linguaggio lirico e pacato.


G. Inness, Le cascate del Niagara in blu, 1884

Una sezione della mostra è poi dedicata all’esplorazione oltre i confini degli Stati Uniti, quindi ai ghiacci del Nord e alle regioni tropicali. L’interesse e la curiosità per il lontano e l’esotico, il gusto di esplorare conducono i pittori in Colombia, Brasile, Ecuador, nelle isole dei Carabi e nelle zone artiche. Questa parte della mostra documenta con i lavori di Church, Heade, Bradford la rappresentazione di mondi incontaminati. Si passa dalla raffigurazione di un Eden tropicale alla passione per animali e fiori esotici, in particolare per i colibrì e le orchidee (Heade). Anche per il paesaggio delle regioni artiche c’è un indizio europeo: il “Mare di ghiaccio” di Friedrich, manifesto del Romanticismo tedesco. Ancora Church, pittore-esploratore, realizza nei suoi viaggi verso Terranova e lungo le coste del Labrador, numerosi studi sugli iceberg, che saranno poi resi in quadri di grande poeticità e lirismo.


F. E. Church, L’iceberg, 1875


Un’altra sezione assai interessante concerne il Grand Tour dei pittori americani in Italia. A Roma Cole concepisce la sua “Storia dell’Impero” in cinque quadri che, pur rappresentando lo stesso paesaggio, illustrano il culmine e la caduta di una civiltà. Convinto che l’arte debba esprimere il legame tra la storia dell’uomo e la natura, Cole pone sempre nei suoi lavori elementi del passato. Cropsey unisce natura e architettura nel “Il tempio di Nettuno a Paestim”; Gifford è affascinato dalla luce mediterranea.



F: Cropsey, Il tempio di Nettuno a Paestum, 1859


La sezione più ampia, invece, è quella che illustra la scoperta dell’Ovest; è l’epoca della corsa all’oro e delle battaglie con i pellerossa. E’ la “Western painting”, è l’arte di “frontiera”, nata da esigenze pratiche, ossia dalla necessità del governo americano di conoscere le popolazioni autoctone e di realizzare in quelle zone traffici commerciali. Così pittori r fotografi si univano alle spedizioni federali verso l’West e durante il viaggio fissavano sulla carta paesaggi e scene significative. Tra i principali esponenti di questo genere si ricordano Albert Bierstadt, di origini tedesche. I suoi quadri presentano soprattutto paesaggi di gusto romantico. Esploratore delle Montagne Rocciose e della Sierra Nevada, rimane folgorato nel 1863 dalla scoperta della Yosemite Valley in California.


A. Bierstadt, Tempesta tra le montagne, 1870


Frederic Remington “celebra la vittoria dell’Ovest e i sacrifici e il coraggio dei pionieri bianchi. E’ trionfalista. Ma, al contempo, lamenta la scomparsa delle culture native”. Nei suoi quadri le cromie sono più chiare, il fondo è tenue, dai tratti poco marcati, mentre le figure umane sono più segnate e vive nei colori. Sono quadri divulgativi e legati allo studio degli usi e dei costumi dei pellerossa. Ne “Il prigioniero” di Remington il fondo è bicromatico e i colori della sterpaglia si fondono con l’ombra delle rocce e il colore delle montagne.

Predomina l’ocra, il colore del deserto, mentre le figure umane compaiono dal nulla, disposte su due file. E’ un gruppo di indiani, armati, con un prigioniero, un soldato, con le mani legate e un cappio al collo, la cui estremità è tenuta dal pellerossa che gli è accanto. I colori degli abiti sono vivaci e i profili degli uomini e dei cavalli sono in contrasto con il fondo. Remington rappresenta con minuzia i particolari, dalle vesti degli indiani agli stivali impolverati del soldato.


F. Remington, Il prigioniero, 1899

L’arte impressionista giunge nel 1866 in America e getta un’ombra sulla produzione pittorica della Hudson River School.La nuova tendenza artistica insegna agli americani un modo diverso di far pittura: non più un paesaggio colto nei minimi particolari, bensì un paesaggio sempre diverso, però nel corso della giornata per la variazione tonale della luce, per il contrasto luce-ombra, per l’uso del blu nel delineare le ombre…Gli artisti americani che aderiscono all’arte impressionistica rappresentano o paesaggi marini o primaverili o invernali. La diffusione del gusto impressionista è immediata: già alcuni artisti d’oltreoceano come Mary Cassat, Sargent e Whistler avevano vissuto e lavorato in Francia, ma la piena divulgazione dell’Impressionismo in America è dovuta alla mostra che il mercante di Monet, Paul Durand-Ruel, organizza a New York. Il successo è clamoroso e gli artisti del Nuovo Mondo colgono la modernità del linguaggio impressionista e molti di loro si recheranno a Parigi. Tra i pittori americani che vissero la fase impressionista e che sono presenti in mostra  ci sono: Inness che dà spazio nei suoi dipinti agli effetti atmosferici, tramite una pittura tonale; William Herrit Chase che segue le linee indicate da Monet con grande scrupolo, ma con suggestioni più forti del Maestro.


F.C.Hassam, Il giorno di San Patrizio, 1919


Nella sezione di congedo della mostra, il cui titolo è “La fine. Il principio”, dedicata al ritratto, sono presenti da una parte gli artisti più legati alla cultura europea, come sargent, Cassat e Whistler; dall’altra i pittori del realismo duro e concreto come Homer  ed Eakins, stimati antesignani di quel realismo americano che avrà nel gruppo American Scene e in Hopper i rappresentanti piu significativi. Hopper è un maestro laconico, i suoi personaggi sono immersi nella solitudine, sprofondati nei meandri misteriosi del quotidiano. Ecco allora i motel, le tavole calde, le strade desolate con pompe di benzina, tutto anonimo, senza sentimenti.

Il percorso giunge alla conclusione con due dipinti di Wyeth (nato nel 1917 e ancora vivente): da un lato c’è il classico edificio di campagna, dall’altro c’è il “Ritratto di Helga con il montone”. La sua visione del reale è così malinconica da essere quasi fonte di dolore. Il pittore mediante la tempera asciutta o l’acquerello quasi secco cerca nelle persone  semplici della terra e nelle cose la drammaticità naturale. Questo artista è qui collocato per sottolineare la continuità fino al presente di un’America semplice, di persone oneste, vagheggiata nell’Ottocento e ripresa dal realismo di Homer.


A. Wyeth, Shop Day, 1975 (particolare)


La mostra è visitabile fino al 4 Maggio 2008



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