ARTE - A cura di Rosa Roselli
Tutti i diritti riservati
A cura di Rosa Roselli

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MIRÒ: LA TERRA

(Ferrara, Palazzo dei Diamanti)





J. Mirò, Senza titolo, 1926


Juan Mirò (Montroig 1893 – Palma di Maiorca 1983), figlio di un orefice,  si forma presso la Scuola d’Arte di Francisco Galì a Barcellona, ma ben presto è attratto  dall’Impressionismo e dal Fauvismo. Nel 1919 è a Parigi, dove stringe amicizia con Picasso che lo suggestiona solo per qualche forma cubista, in quanto l’attenzione di Mirò è soprattutto volta alla cerchia dadaista di Tristan Tzara. Nel 1924 Mirò aderisce al surrealismo, cui giunge tramite lo scrittore André Breton e di questa corrente il pittore sarà un esponente atipico e autonomo, pur avendone anticipato l’onirismo. A partire dal 1956 l’artista si stabilisce a Palma di Maiorca e continua a produrre in modo cospicuo, ottenendo anche commissioni pubbliche, tra le quali si ricorda quella per la sede parigina dell’UNESCO. Nel 1975 apre nella sua città natale la Fundaciò Mirò e nel 1983, proprio nell’anno in cui il Moma di New York lo celebra con una grande mostra per i suoi novant’anni, Mirò muore.
L’artista nei suoi lavori rivela sempre un forte attaccamento alla sua terra,  mostra di avere un legame carnale con la terra rossa della fattoria di famiglia a Montroig in Catalogna, protagonista dei suoi primi dipinti.E’ per lui una specie di terra-madre che l’artista pone fuori del tempo e che gli ricorda un mondo di ancestrali ritualità. La Catalogna è anche la terra-patria, di cui Mirò ama non tanto l’aspetto moderno e novecentista, bensì quello contadino che per lui è l’anima di quel Paese. E’ propria questa l’ottica data dal curatore alla mostra ferrarese, in cui sono esposte opere connotate da tale dominante presenza.




J. Mirò, Donna davanti al sole, 1938

Non sono stati esposti i primi lavori, quelli degli anni 1918-19, nei quali Mirò traccia ogni filo d’erba, ogni foglia di palma con estrema minuzia; manca pure la famosa “Fattoria” (1921-22), nella quale all’atmosfera incantata si unisce la prima conoscenza del Cubismo, più sviluppata nelle opere successive tutte, comunque, volte ad un astrattismo lirico che Mirò consegue tramite pochi, ma calibrati segni grafici, deformazioni fantastiche,ma evocative di elementi naturali, immerse nello splendore dei colori.
Durante gli anni Trenta Mirò, ormai famoso, inizia a produrre i “papiers collès” ed illustra le opere di molti amici e scrittori, come Tzara e Paul Eluard, mentre nel 1935, poco prima della guerra civile spagnola, esegue una serie di lavori, le “peintures sauvages”, ricche di figure grottesche e mostruose.
L’artista continua a sperimentare nuove forme espressive e sovrappone al tema della terra quello della materia e dei materiali. Infatti incomincia a produrre assemblaggi tridimensionali, costruendo gli oggetti con una fantasia e una sensibilità particolari. Il colore ritorna da protagonista nelle opere che precedono lo scoppio della seconda guerra mondiale e in questi lavori Mirò usa materiali nuovi come il rame, mentre il colore diventa violento e vivace. Anche i paesaggi si popolano di misteriose e strane figure. L’innovazione è un tipico aspetto di Mirò, per cui  a partire dal 1944 si dedica anche alla ceramica e addirittura anticipa l’Action Painting e L’Informale quando introduce nei suoi quadri materiali come caseina, sabbia, pece e ghiaia.
La sua inesauribile vena artistica lo porterà, dopo la guerra, ad affrontare le grandi decorazioni murali e a concentrarsi sui temi della donna e della sessualità con opere caratterizzate da una visione più fantastica della realtà.




J. Mirò, Tela bruciata 3, 1973


La mostra è visitabile fino al 25 Maggio 2008.


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