Caravaggio, Conversione di Saulo, particolari
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La Conversione
di Saulo” è l’opera meno conosciuta di Caravaggio, in quanto fa parte della collezione privata della famiglia Odescalchi.
Commissionata con il suo pendant,
la Crocifissione
di San Pietro (entrambe le opere dipinte su tavola di cipresso), a Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571-1610) dal cardinale Tiberio Cerasi, nel settembre del 1600, per la sua Cappella in Santa Maria del Popolo (Roma), l’opera non fu mai esposta per il dilungarsi dei lavori. A seguito dell’improvvisa morte del cardinale, l’opera, per eredità, passò all’Ospedale della Consolazione e, nonostante il pittore fosse stato pagato, i quadri non vennero mai consegnati. Nel maggio del 1605 comparvero nella Cappella Cerasi due dipinti su tela e non su tavola di cipresso. I due quadri su cipresso passarono al cardinale Giacomo Sannesio, i cui eredi, nel 1647, li cedettero a Juan Alfonso Enriquez de Cabrera, Almirante di Castiglia e viceré di Sicilia e di Napoli, che li portò a Madrid. Alla morte dell’Almirante (1647), la “Conversione” fu venduta per pagare le tasse e successivamente fu acquistata, con altre, dal genovese Agostino Airolo, che la passerà al cognato Francesco Maria Balbi, nella cui collezione l’opera è documentata nel 1682.
Il secondo dipinto su tavola, la “Crocifissione di San Pietro”, rimasto in Spagna, è menzionato fino al 1691. Poi si sono perse le tracce.
Nel 1955, estintasi la discendenza Balbi, il quadro passa alla famiglia Odescalchi e ritorna a Roma.
Caravaggio, Conversione di San Paolo, 1601
Per capire l’opera di Caravaggio è opportuno rileggere il passo degli Atti degli Apostoli (9,3-8), in cui San Luca narra l’episodio con grandiosa efficacia, mettendo in rilievo la luce che improvvisamente brillò in cielo, lo sgomento dei presenti che “udivano la voce ma non vedevano nessuno” e la cecità di Saulo: “sebbene i suoi occhi fossero aperti, non vedeva niente”. Guardando dunque il quadro Odescalchi si nota che esso è la trascrizione precisa dell’episodio narrato dall’Evangelista. Sicuramente Caravaggio, prima di accingersi al lavoro, avrà meditato a lungo sul passo e, da cristiano, sarà stato consapevole che la conversione è un momento assai importante nella vita di un uomo, perché comporta turbamenti, pensieri e sentimenti drammatici. Tutto questo travaglio interiore Caravaggio è riuscito ad esplicarlo nella pala Odescalchi, servendosi di tutto ciò che il Manierismo lombardo poteva offrirgli.
L’opera, oggi ripulita e restaurata, è mirabile per la luce che sfuma dal grigio nel bianco, e per l’affollamento della scena.Ci sono molte figure ricche di particolari descrittivi che rendono realistico l’episodio narrato, a cui prende parte anche Cristo che si protende dall’alto, sorretto dall’angelo, mentre l’Apostolo, con le mani a coprire gli occhi, accecati dalla luce di Dio, è a terra, sotto il cavallo imbizzarrito e trattenuto con fatica dal palafreniere.
In seguito il pittore riconsiderò probabilmente i dipinti in rapporto alla loro destinazione, per cui eseguì una nuova versione della “Conversione di San Paolo” (vedi fotografia 2), in cui privilegia lo stravolgimento della vita dell’uomo e l’ambienta in una stalla, dove il cavallo è predominante sull’uomo steso a terra e colto subito dopo l’illuminazione divina. Il fascio di luce, che investe il corpo teso, indica la presenza di Cristo. Un vecchio, solo testimone della scena, porta via l’animale che cautamente scavalca il cavaliere.
Caravaggio, Conversione di Saulo, Collez. Odescalchi
La mostra è visitabile fino al 14 Dicembre 2008.
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