ARTE - A cura di Rosa Roselli
Tutti i diritti riservati
A cura di Rosa Roselli

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CANOVA:
L’IDEALE CLASSICO
TRA SCULTURA E PITTURA






(Forlì, Musei San Domenico)




 A. Canova, Ritratto di Domenico Cimarosa


“Canova ha avuto il coraggio di non copiare i Greci e di inventare una bellezza, come avevano fatto i Greci” (Stendhal, 1816)


Secondo Antonio Canova (Possagno, Treviso, 1757- Venezia 1822) la “bella natura” è l’ideale d’arte che permea la scultura classica e, in particolare, le opere di Fidia, perché “sono sempre stati gli uomini composti di carne flessibile, e non di bronzo”. Per lui la bellezza sta nello splendida forma di un giovane corpo femminile, in quanto dà per un istante la sensazione di immortalità, ma è anche amore, tenerezza, è il mito che si rende accessibile ai sogni e ai desideri di ogni uomo. Canova ha dunque ben interpretato quest’idea di arte nella “Venere italica” (1812) che aveva suscitato l’ardente entusiasmo di Foscolo, perché l’artista l’aveva dotata di “tutte quelle grazie che ispirano un non so che di tenero ma che muovono più facilmente il cuore” (Foscolo).
Le prime sculture, su commissione del senatore Giovanni Falier, (“Orfeo ed Euridice), risalgono al 1778 e sono di chiara impostazione berniniana, ben presto superata nel gruppo d’impianto naturalistico “Dedalo e Icaro” (1779). Questi lavori gli consentirono con il denaro ricavato di compiere il desiderato viaggio a Roma (1781 circa), dove Canova studiò Raffaello e le sculture antiche, giudicate in età neoclassica come il modello della bellezza ideale. Con l’appoggio dell’ambasciatore veneto Girolamo Zulian, per il quale aveva scolpito  “Teseo sul Minotauro”, ispirandosi non solo ai modelli antichi, ma anche ai principi del Neoclassicismo, teorizzati da Winckelmann ossia “la nobile semplicità e la quieta grandezza”, Canova incominciò una fortunata carriera artistica che trovò il momento di piena affermazione e quindi di riconoscimento della sua genialità artistica con due grandi monumenti funerari pontifici, quello di Clemente XIV (Roma,Basilica dei Santi Apostoli,1787) e di Clemente XIII (Roma, San Pietro, 1792). I richiami berniniani, ancora presenti nel primo monumento, sono nel secondo ormai superati dalla semplificazione geometrica dello schema piramidale e dal bilanciamento simmetrico delle figure. La tipologia del monumento funebre sarà poi rinnovata completamente da Canova nel monumento a Maria Cristina d’Austria (1798-1805, Vienna, Augustinerkirche): un corteo di dolenti (allegoria della memoria consolatrice) si dirige lentamente verso la buia porta (diaframma tra la vita e la morte) che si apre nella grande piramide, antico simbolo sepolcrale. Canova continuerà a svolgere il tema della morte, proprio del Neoclassicismo, su un duplice registro: quello civile della memoria dell’eroe come exemplum virtutis e quello elegiaco del ricordo  degli affetti e delle virtù personali, espresso nella mirabile compostezza di molte stele funerarie. Stabilitosi definitivamente a Roma, il Nostro produrrà opere ora a carattere mitologico, genere molto apprezzato dai collezionisti e dalle corti europee del tempo, dominato dal tema del grazioso come “Amore e Psiche”, “Venere e Adone”, ora a carattere eroico come i “Pugilatori” e il “Perseo trionfante”. Nel 1802 lo scultore sarà a Parigi per modellare il busto di Napoleone, rappresentato nel 1806 in una imponente scultura come “Marte pacificatore”. In questa occasione l’artista eseguirà l’altrettanto celebre ritratto-scultura di Paolina Borghese Bonaparte come “Venere vincitrice” (1804-08). In questo lavoro la morbidezza del modellato e il richiamo agli antichi sarcofaghi e alle Veneri di Tiziano si amalgamano nel perfetto equilibrio tra “bello ideale” e “bello di natura”.
Nel 1802 Canova fu nominato dal papa Pio VII Ispettore Generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato della Chiesa, un incarico che, a suo tempo, era stato di Raffaello e che responsabilizzò molto Canova che, nel 1815, ottenne la restituzione delle opere d’arte, requisite dai francesi, dopo il Trattato di Tolentino.



A. Canova, Venere Italica, Firenze, Palazzo Pitti


Nella mostra di Forlì sono presenti i tre capolavori che lo scultore aveva eseguito per questa città: Ebe (1816-17), La “Danzatrice col dito al mento” (1814) e la “Stele funeraria di Domenico Manzoni”, in quanto l’esposizione vuole ripercorrere la carriera di Canova mettendo a confronto una serie di opere (marmi, gessi, bassorilievi, bozzetti e dipinti) del Nostro con i modelli antichi cui si è ispirato e con i dipinti contemporanei con i quali si è confrontato. Ad esempio “Ebe” è esposta vicino a due statue antiche, ossia “Arianna con la pantera” e “Danzatrice di Tivoli” oltre che con il “Mercurio” di Giambologna per essersi Canova  cimentato nell’arduo motivo della figura in volo. Tuttavia la scultura forlivese di “Ebe” si chiarisce nel suo significato nel confronto con la prima rappresentazione del tema, La “Ebe sulla nuvola” dell’Ermitage. Dal famoso museo russo provengono anche altre opere assai importanti come la “Danzatrice con le mani sui fianchi” per il tema della musica e della danza che lo scultore ha sempre sviluppato nel suo lavoro e, a testimonianza, sono visibili le tempere di Bassano, validamente restaurate. Al centro di questa rassegna c’è per la prima volta il rapporto tra scultura e pittura non solo in Canova, ma anche negli artisti cui il Nostro si è ispirato, come Tiziano, e in coloro che sono stati da lui influenzati, ad esempio Hayez per le sue danzatrici, ora al Museo Correr di Venezia.




A. Canova, Amore e Psiche stanti, Ermitage, San Pietroburgo


La mostra è visitabile fino al 21 Giugno 2009.


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