Rubrica
a cura di Attilio Mazza


SALVARE IL MONDO CON L’AMORE E LA COMPASSIONE



Dalai Lama, Salvare il domani. Conversazione sul Buddhismo e sulla vita”. Oscar Mondadori, 136 pagine, € 8,80


Il Dalai Lama sottolinea sempre che non è sua intenzione "buddhistizzare" l'Occidente. È convinto che il Cristianesimo resterà anche in futuro la religione principale. Inoltre non si mostra disponibile verso i nuovi movimenti religiosi. E’ certamente impegnato nella ricerca di un dialogo tra le religioni, ma mostra poco interesse per la ricerca di una religione mondiale unitaria.

Ritiene che gli occidentali possano apprendere dal buddhismo, e dalle sue molteplici pratiche di meditazione, a esercitarsi nell'amore e nella compassione, a non nuocere a nessuno e ad aiutare gli altri. «Possiamo essere politici, uomini d'affari, comunisti, scienziati, ingegneri... non appena esercitiamo un influsso sulla società tramite le nostre azioni, l'amore e la compassione sono determinanti. Ognuno di noi è responsabile per l'umanità intera».

Il suo senso di responsabilità politica nei confronti del popolo tibetano oppresso lo spinge a occuparsi dei faticosi affari della vita pubblica. E oggi è considerato, oltre che autorità religiosa di riferimento uno dei massimi intellettuali buddhisti.

Il suo volume “Salvare il domani” edito negli Oscar Mondadori è, come si legge nel sottotitolo, una “conversazione sul Buddhismo e sulla vita”. In questa conversazione con la filosofa e teologa Felizitas von Schönborn, il Dalai lama offre il suo punto di vista in rapporto alla religione, alla filosofia, alla politica, al mondo contemporaneo. E parla di ecologia, di libertà religiosa, di democrazia, della crisi spirituale della società del benessere. Si sofferma sugli aspetti che travagliano il nostro tempo, a cominciare dalla violenza.  

L’intervistatrice, Felizitas von Schönborn, scrive che «il Dalai Lama non vive, come i suoi predecessori, isolato dal resto del mondo nel grandioso palazzo del Potala, l'antica residenza invernale dei Dalai Lama nella capitale Lhasa. Il palazzo, che aveva più di mille stanze e saloni e ospitava al suo interno scuole per funzionari, un monastero e diversi templi, era il simbolo della struttura gerarchica alla sommità della quale si situava l'autorità religiosa e politica dei tibetani. “Ci eravamo irrigiditi nei formalismi – afferma il Dalai Lama pensando al passato – si poteva a stento parlare e respirare liberamente. In un certo senso la fuga da Lhasa è stata salutare. Inoltre mi ha permesso di comprendere più a fondo la religione, soprattutto per quanto riguarda la caducità di tutte le cose”. Da quando è fuggito dal Tibet egli ha vissuto come un semplice monaco nella città indiana di Dharamsala, senza smettere mai di sostenere il suo popolo».

«Nelle sue conferenze Tenzin Gyatso parla della ricerca dell'armonia, della pace e di una maggiore comprensione tra le fedi e le culture. I suoi pensieri risultano comprensibili a tutti. Egli esorta con forza ad assumere un atteggiamento di responsabilità universale, per poter affrontare i pericoli globali che minacciano l'umanità. Il suo messaggio dice che ciascuno di noi deve immedesimarsi nelle sofferenze e nelle necessità degli altri e farle proprie. La sua visione buddhista universale supera tutti i confini e le barriere».

La conversazione raccolta nel volume è il risultato di numerosi incontri avvenuti tra Svizzera e Austria in un periodo che va dal 1988 al 1993.