Rubrica a cura di Attilio Mazza
RELIGIOSITA’ E POLITICA. LO SCOLLAMENTO FRA CREDENTI E PRATICANTI
«Gli italiani e la politica», a cura di Marco Maraffi,
Marco Maraffi nel primo capitolo del libro da lui curato, «Gli italiani e la politica», edito dal Mulino, affronta il tema del rapporto fra religiosità e orientamenti politici. Il caso italiano si può assimilare – almeno parzialmente e nonostante le grandi differenze di storia religiosa – alla situazione statunitense. «Le Chiese americane – scrive – hanno conservato la loro funzione, nell'ambito dell'istruzione, della solidarietà e della salute, quelle stesse funzioni che invece nello stato francese e in quello tedesco sono state loro sottratte. Ne consegue che la religione è molto più presente nella vita quotidiana di un cittadino americano che in quella di un cittadino francese o tedesco. A queste considerazioni c'è anche da aggiungere che la religione istituzionalizzata –
«Naturalmente – scrive ancora Maraffi – la religiosità non è distribuita in maniera uniforme nella popolazione, ma varia in funzione di alcune caratteristiche sia individuali sia di contesto: sono infatti più religiose le donne, le persone anziane, quelle meno istruite, le casalinghe e i pensionati, i residenti nelle regioni meridionali e nei piccoli centri. C'è però da osservare che in nessun gruppo sociale la percentuale di “religiosi” scende al di sotto dei due terzi della popolazione. Nell'insieme, le caratteristiche socio-demografiche e di contesto spiegano poco e male l'importanza che si attribuisce alla religione». L'aspetto che più colpisce, e che naturalmente ci si poteva attendere data l'ampia diffusione di questo atteggiamento, «è il livello di religiosità di coloro che si collocano nelle posizioni di sinistra (55%) e centrosinistra (67%): gli italiani che attribuiscono importanza alla religione nella propria vita risultano in netta maggioranza in tutte le posizioni dello spettro politico. L'area della religiosità – intesa come sentimento religioso – è più ampia di quella della pratica religiosa. Infatti, se tre quarti degli italiani attribuiscono importanza alla religione nella propria vita personale, solo un quarto può dirsi praticante a tutti gli effetti (cioè assiste alla messa almeno una volta alla settimana). Anche utilizzando un indicatore più ampio di pratica religiosa la differenza rimane molto alta: se ai praticanti regolari aggiungiamo anche coloro che dichiarano di andare a messa due-tre volte al mese, si arriva solo al 40% della popolazione, rispetto al 75 % di religiosi. Oltre alla nota sfasatura che si è determinata nei paesi europei fra credere e appartenere, la frequenza alla messa misura un comportamento che potrebbe anche essere motivato da abitudine, conformismo, desiderabilità sociale, pressione del contesto, piuttosto che un autentico sentimento religioso. Nelle società occidentali avanzate, dunque, la religiosità appare un indicatore più preciso e più adeguato della frequenza alla messa, perché tiene conto del crescente scollamento fra credere e appartenere, che pare essere il carattere dominante della religione di fine millennio (almeno nei paesi europei). La pratica religiosa, invece, enfatizza indebitamente la secolarizzazione e sminuisce il ruolo della religione nella vita – negli atteggiamenti e nei comportamenti – degli individui contemporanei, anche in un paese come l'Italia dove comunque la pratica religiosa è ancora più elevata che altrove». C'è anche da notare – scrive ancora Maraffi – che i praticanti risultano più «centristi» dei religiosi; «ovvero, in altri termini, prendendo la frequenza alla messa come indicatore di orientamento religioso si sovrastima il carattere politicamente centrista e moderato della popolazione. Con questa diffusione capillare e trasversale della religiosità, anche in termini politico-ideologici, non ci sono più le condizioni strutturali per un partito cattolico di massa, politicamente centrista.
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