Rubrica
a cura di Attilio Mazza

AL ROGO PERCHE’ TESTIMONE DELLA VERITA’



Michele Ciliberto, «Giordano Bruno: Il teatro della vita»,
Mondadori, 556 pagine, € 30.00


Michele Ciliberto, uno dei massimi studiosi del Rinascimento e docente di Filosofia moderna alla Normale di Pisa, nel volume Mondadori, «Giordano Bruno. Il teatro della vita», ripercorre l’esistenza del filosofo e scrittore (nato a Nola nel 1548 e già domenicano), finito sul rogo a Roma il 17 febbraio 1600. Lo studioso ricostruisce, alla luce degli atti, tutte le fasi del processo inquisitorio, in cui Giordano Bruno seppe trasformare i suoi accusatori in imputati.

Alla condanna del presbitero considerato eretico contribuirono anche alcuni religiosi, fra cui il frate carmelitano Giulio da Salò. Il gardesano si trovava in carcere a Venezia (ma non si conosce la causa) quando il pensatore nolano venne arrestato su denuncia del patrizio Giovanni Mocenigo che lo aveva chiamato in laguna, entusiasta della sua opera «De minimo», per apprendere direttamente da lui «li secreti della memoria e li altri che egli professa, come si vede in questo suo libro».

Giordano Bruno, già in fama di eretico, nel novembre 1591 lasciò Padova e si trasferì a Venezia ma per mesi non si recò dal Mocenigo: solo alla fine del marzo 1592 si stabilì in casa del patrizio, interessato alle arti della memoria e alle discipline magiche. Poco dopo, in maggio, il filosofo espresse il desiderio di voler tornare a Francoforte. Il Mocenigo considerò ciò un pretesto per abbandonare le lezioni e lo fece sequestrare in casa dai suoi servitori. Il 23 maggio presentò poi all’Inquisizione una denuncia scritta, accusandolo di essere blasfemo, di disprezzare la religione, di praticare arti magiche, di negare la verginità di Maria e le punizioni divine, di non credere nella Trinità divina e nella transustanziazione, di credere invece nell'eternità del mondo, nella metempsicosi, nell'esistenza di mondi infiniti,.

Quella sera stessa Giordano Bruno fu arrestato e rinchiuso nelle carceri dell'Inquisizione di Venezia, in San Domenico a Castello, dove appunto ebbe come compagni di cella il carmelitano Giulio da Salò, il frate cappuccino Celestino da Verona, il falegname napoletano Francesco Vaia, un insegnante di Udine Francesco Graziano e un certo Matteo de Silvestris, di Orio, tutti chiamati a deporre davanti agli inquisitori.

Giulio da Salò testimoniò – forse per scagionarsi dalle proprie colpe – che il pensatore «asseriva che Dio non era il creatore del mondo, perché il mondo era così eterno come Dio», sostenendo che i mondi erano innumerevoli. Inoltre affermò che riprovava il culto delle «sante reliquie» e quello delle immagini. Altri ribadirono che «non haveva alcuna divotione alle reliquie de' santi, perché si poteva pigliare un braccio di un impiccato fingendo che fosse di santo Hermaiora, e che se le reliquie, che buttò per il fiume e per il mare il re d'Inghilterra, fossero state vere, havriano fatto miracoli, et in questo proposito ragionava burlando». Era, insomma un eretico degno del rogo. Giordano Bruno affrontò il supplizio a Roma rifiutando in modo sprezzante ogni conforto religioso affermando che «moriva martire et volentieri», testimone del suo libero pensiero.

Ricorrendo per la prima volta in maniera sistematica agli scritti dello stesso Bruno, come fonte essenziale per ricostruire i momenti salienti della sua vita, Michele Ciliberto rivela la stretta connessione fra filosofia e biografia, che reciprocamente si illuminano nel fuoco di una drammatica vicenda esistenziale, unica nel panorama della filosofia del Rinascimento. Da queste pagine, la cui densità concettuale nulla toglie al pathos della narrazione, ci viene incontro un uomo dal carattere incontenibile, bramoso di non perdere il centro della scena, fortemente convinto della propria natura mercuriale, testimone coerente e intransigente della ragione filosofica.

Sono così dissolti e respinti i due stereotipi classici della critica bruniana: da un lato l’immagine ottocentesca di stampo massone che presenta Giordano Bruno come un martire del libero pensiero; dall’altro quella, tipica del secondo Novecento, che lo raffigura come un mago ermetico, titanico oppositore della Chiesa romana e dei suoi rappresentanti. Queste pagine s’imperniano sulla vocazione teatrale del Nolano, dalla giovinezza alla morte sul rogo che il filosofo vive come eccezionale testimonianza della sua fedeltà alla verità.