IL SIGNIFICATO ESOTEICO DEI RITI CAVALLERESCHI
Dominique Viseux, «L’iniziazione cavalleresca nella leggenda di Re Artù», Edizioni Mediterranne, 204 pagine, € 14,90
Sono almeno due le ragioni d’interesse per il Medio Evo, scrive io noto studioso del pianeta mistero Gianfranco De Turris nella nota introduttiva all’edizione italiana al volume di Dominique Viseux, «L’iniziazione cavalleresca nella leggenda di Re Artù», pubblicato dalle Edizioni Mediterranee di Roma. La prima è l’aspetto mitico, la seconda quella esistenziale-metafisica: l’alternativa al mondo contemporaneo.
E’ ormai comunemente accettato da storici delle più diverse estrazioni e tendenze – scrive De Turris – che il cerimoniale con cui venivano investiti i cavalieri fra il X e il XIII secolo, era una vera e propria «iniziazione e/o derivava dalle identiche cerimonie iniziatiche, dai “riti di passaggio” delle società primitive, antiche o “tradizionali” che dir si voglia. Lo stesso dicasi per il carattere mitico-simbolico della poesia e della narrativa dell'epoca (salvo poi stabilirne con esattezza il senso e il valore): tra il 1000 e il
1300 l
'uomo si trovò immerso in quello che è stato definito un universo simbolico, dove la letteratura, e in specie i cosiddetti “romanzi cortesi”, ne sono stati l'espressione più intensa e felice». Per quanto riguarda il problema dell'iniziazione cavalleresca, in particolare, gli storici si trovano inoltre d'accordo sul fatto che quella descritta nei romanzi cortesi è simbolicamente più “spinta” di quanto non fosse nella realtà.
Quanto all’approccio dell’autrice al tema, la stessa Viseux precisa subito che non intente effettuare con il suo lavoro l’inventario di tali leggende. E scrive: «Dal nostro punto di vista, la poesia, che è all'origine della letteratura, ha una funzione del tutto diversa da quella di costituire “un fenomeno letterario” e “un patrimonio culturale”. Essa è in sostanza ciò che si chiama tradizionalmente “Lingua degli Dèi” ed aveva, quindi, la funzione di diffondere e conservare il Mito. I livelli di lettura e d'interpretazione di un mito sono, beninteso, molteplici, come già aveva rilevato Dante, e la loro pluralità è del tutto legittima, fintanto che uno di essi non pretenda di soppiantare gli altri. Si distinguono generalmente quattro livelli possibili di lettura, corrispondenti a quattro ordini di realtà: i primi tre (letterale, sociologico e teologico) costituiscono l'interpretazione exoterica, mentre soltanto l'ultimo, che dà l'interpretazione metafisica o esoterica, può andare oltre le limitazioni inerenti agli altri gradi. Questo aspetto “a più sensi” del mito è reso possibile dall'impiego del simbolismo tradizionale il cui scopo non è, come abbiamo già detto, quello di dissimulare, ma, al contrario, quello di esporre, nel modo più adatto a tutte le forme e a tutti i gradi dell'intelligenza, verità di ordine essenzialmente metafisico». Ed ecco dunque, attraverso il mito, l'interpretazione sacrificale della vita.
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