Questo terzo incontro dedicato al Karma chiude il primo gruppo di elementi - la triade - dopo lo Spirito, l'Incarnazione e reincarnazione. Si tratta della legge di causa effetto (o di contrappasso), meglio nota col termine sanscrito di Karma, che ha il significato di "azione, fatto, opera". L'accettazione dei tre elementi rappresenta la base di una conoscenza fondamentale dell' esperienza umana. Ovviamente essi s'intrecciano e s'intersecano tra loro - e con altri elementi collaterali - in una miriade di situazioni dell'esperienza umana. Ma il loro riconoscimento complessivo è - e resta comunque - la base di partenza per chiunque voglia comprendere la realtà esistenziale umana, dove il caso non esiste, o comunque ha sempre una sua logica occulta.
Diciamo subito che buona parte delle concezioni che si riferiscono al Karma com'è inteso nel pensiero induista - sono del tutto da rigettare in una visione avanzata della condizione spirituale. Il Karma non è assolutamente un freddo e rigido elemento punitivo - e neppure deve essere considerato in questo senso - ma è uno strumento d'insegnamento fondamentale che si pone in essere quando certe condizioni di squilibrio esistenziale e comportamentale siano arrivate al loro limite. Tali elementi di squilibrio possono essersi verificati in altre esistenze anche molto lontane nel passato, oppure nella stessa esistenza presente. La nostra condizione karmica ci è quasi completamente nascosta e sconosciuta; in questo senso deve rimanere un percorso di scoperta e di revisione individuale.
È lo stesso Spirito, e non l'uomo, che, giunto ad un grado adeguato di consapevolezza evolutiva, si rende conto di aver compiuto in ambito terreno comportamenti e azioni di vario tipo fonte di grande squilibrio. A questo punto scatta l'elemento cosciente che porta a una volontà di riequilibrio allorché tale comprensione diventa forte e ineludibile.
L'Occidente - in un certo senso - si è appiattito sulle concezioni indiane del Karma: In mancanza di una dottrina sostitutiva, ha accettato, in un certo senso, tale concezione, che tuttavia è fortemente meccanico-fatalistica e priva di fondamentali elementi della condizione spirituale: in pratica un concetto che va fortemente approfondito sin quasi alla sua completa revisione e trasformazione.
Siamo però di fronte ad un tema fra i più complessi e difficili da spiegare nelle sue implicazioni di tipo pratico e attuativo nei confronto dell'esistenza, e ciò anche a causa della sua enorme vastità. "Leggere" e comprendere l'attuarsi e lo svolgersi di una condizione karmica è compito difficilissimo; cercarne le spiegazioni significa applicare ragionamenti in larga parte intuitivi e concettuali in buona parte astratti, inusualì, i quali mancano spesso del punto originale di partenza. Pertanto si possono valutare solo sulle conseguenze che si pongono in atto.
Le modalità karmiche si attuano nel vissuto con una diversità praticamente unica e particolare per ogni individuo. Va quindi posta in essere una valutazione analitica - che anche se corretta - difficilmente è accettata dagli individui che non abbiano una Conoscenza tale da comprenderne l'ambito e l'astrattezza concettuale. Solitamente il Karma è subìto senza essere compreso a fondo; i risultati di riequilibrio, tuttavia, arrivano ugualmente per conseguenza, anche in tempi lunghissimi.
Il Karma, peraltro, è considerato in genere solo in senso negativo. In realtà si pone in atto anche nella maniera contraria. Esiste, infatti, anche il Karma "positivo" perché esso si applica a tutte le azioni, e non solo a quelle "negative". E’ felice la raffigurazione tibetana di due monaci, uno dei quali piange mentre l'altro ride.
Quanti hanno una formazione cristiana occidentale sono del tutto impreparati a simili concezioni che, nel linguaggio religioso, potrebbero trovare corrispondenza nell' espiazione, penitenza, redenzione, eccetera. Tuttavia si tratta di termini troppo generici, limitati e impropri per definire una condizione così complessa. Tale concezione lascerebbe intendere, paradossalmente, un'altra possibilità della condizione karmica: quella di poter "pagare" o "compensare" il Karma in maniera cosciente, attraverso una serie di azioni su sé stessi o sull'esterno, al fine di giungere alla comprensione dell'azione da compiere; e ciò per porre in essere quel riequilibrio che lo Spirito si è dato come obbiettivo di una particolare esistenza. Tale concezione religiosa ha, tuttavia, una sua verità di fondo, anche se mal impostata e definita, perché non ne conosce le logiche e ragioni fondamentali.
Vi è quindi la necessità che l'individuo raggiunga la capacità di comprendere, di diventare cosciente. Il Karma può essere "pagato" (o riequilibrato o compensato) allorché sia maturato tale processo di comprensione. E ciò avviene quanto si è raggiunta, per evoluzione, tale possibilità e condizione, anche se parziali e limitate.
Il linguaggio umano non aiuta, evidentemente, a comprendere sino in fondo un concetto così complesso. Va considerato che siamo di fronte ad una condizione spirituale e non razionalmente umana. Quanto si pone in essere nell'individuo è solo la parte finale, pratica, attuativa del Karma, che si esplica nel vissuto.
Vi sono Karma fisici che non si possono eliminare; basti pensare alle malattie genetiche, alle malformazioni, alle malattie inguaribili, eccetera. Altri tipi di Karma sono di altra natura, meno individuabili. Siamo, cioè, di fronte a contesti che possono interessare parte o un'intera esistenza. Essi, comunque, hanno sempre il significato di un insegnamento che passa attraverso la comprensione, la volontà, l'azione, a cominciare dalla stessa accettazione della propria condizione, scegliendo quelle forme di compensazione che ogni individuo sente maggiormente adatte a se stesso.
Si può dunque ben comprendere come la condizione karmica, per questa sua stessa natura sfugga quasi completamente alla valutazione umana, e possa comprendere anche settori allargati quali la famiglia, il lavoro, la condizione affettiva, economica, eccetera. Inoltre l'effetto karmico si applica pure ad intere popolazioni di città e nazioni, in ordine a ciò che possono aver compiuto collettivamente in senso umano negativo o positivo in momenti della loro storia. Le guerre mondiali sono effetti immani e collettivi di livello sovranazionale e rappresentano enormi piani di riequilibri a molteplici situazioni karmiche relative a intere popolazioni.
Va poi fatta un'avvertenza importante; e cioè che il senso delle parole "positivo" e "negativo" è qui usato nell'accezione convenzionale umana. Esso non corrisponde, quindi, al progetto spirituale che vede in ogni esperienza karmica solo la funzione di riequilibrio, unitamente a tutto ciò che comporta come insegnamento sul piano umano; ma di questo aspetto fondamentale tratteremo nel successivo "Incontro".
Gli esempi di ricaduta karmica sono continui e sono sotto gli occhi di tutti: basti solo pensare alla crisi economica contemporanea. È inutile, al proposito, dilungarsi in trattazioni che potrebbero riempire interi volumi; basta solo impostare una chiave di lettura che accetti il Karma come "onda", direttamente conseguente a situazioni di grande disquilibrio, in qualunque ambito esso si verifichi.
La giusta indicazione, a livello individuale, sarebbe allora quella di vivere un'esistenza di grande sobrietà e di equilibrio, ponendo attenzione e consapevolezza nei confronti di ogni elemento estremo, esagerato, o comunque abnorme che potrebbe presentarsi. Ecco perché la comprensione del Karma è un elemento assai utile da conoscere e da applicare all'esistenza: non indicò forse il Buddha «la via di mezzo», del giusto equilibrio tra gli estremi! Un altro Maestro affermò che «avere equilibrio significa avere la proiezione della Divinità». L'equilibrio è una delle caratteristiche e attributi fondamentali della Divinità, riconoscerne l'importanza nella nostra esistenza significa porsi in ideale sintonia con Dio.
Appuntamento al prossimo incontro.
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