ESOTERICA - A cura di Attilio Mazza
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IL MISTERO DEL SACRO TELO DI TORINO



Barbara Frale, La Sindone di Gesù Nazzareno,
Il Mulino, 376 pagine, € 28,00


Archeologia, paleografia, scienza e storia non hanno ancora sciolto i molti nodi dell’enigma Sindone. Documenti e leggende s’intrecciano nella vicenda del sacro telo. Ma alle migliaia di pellegrini che la venerano a Torino forse non interessano molto. Ciò che conta è la fede. Tuttavia l’ostensione della Sindone ha riacceso il dibattito fra gli studiosi.
Barbara Frale, ufficiale dell’Archivio segreto vaticano, autrice di molti saggi sul tema, nella sua ultima pubblicazione, La Sindone di Gesù Nazzareno (Il Mulino), afferma di non voler «entrare in questioni di tipo religioso». Ad esempio sulla «autenticità della Sindone in relazione al mistero della Resurrezione di Cristo». Non tocca agli storici e agli archeologi «trattare tali fatti». Un approccio scientifico, quindi, non sempre privo però d’interesse religioso.
Una testimonianza, fra le prime, della presenza di un telo con i “segni” della passione di Cristo venne tramandato nel 290 da Epifanio di Salamis in una lettera al vescovo Giovanni di Gerusalemme. L’autore dell’epistola si trovava nel villaggio di Anablatha in Palestina e fu attratto dalla luce di una lucerna. Gli dissero che illuminava una chiesa. Entrò per pregare e con sorpresa vide, «appeso presso la porta un lungo telo tinto e dipinto che portava l’immagine di un uomo a somiglianza di Cristo oppure di qualche santo». Epifanio affermò di non ricordare «con precisione». Appena vide il telo si arrabbiò molto: «constatai che dentro la chiesa era stata appesa l’immagine di un uomo contro l’autorità delle Sacre Scritture; così tirai giù quel telo e consigliai caldamente ai custodi di dare quel panno in beneficienza perché fosse usato per avvolgere e seppellire il cadavere di qualche defunto povero».
Commenta Barbara Frale: «il telo insomma doveva avere qualche cosa a che fare con la sepoltura dei cadaveri. Ed essere abbastanza lungo da poter servire a questo scopo». I custodi della chiesa ubbidirono a malincuore all’ordine: Epifanio era un vescovo e non potevano disattendere la sua disposizione. Li aveva rimproverati duramente: «come avevano potuto pensare di mettere quell’oggetto in bella vista dentro una chiesa? Ignoravano forse che Dio aveva ordinato a Mosè: “Non ti farai immagini?”».
La cultura della Chiesa primitiva era molto vicina all’ebraismo nella cui culla era nata. Il Vecchio Testamento, al quale si era riferito il vescovo Epifanio, proibiva esplicitamente le rappresentazioni di Dio, degli uomini e degli animali per non cadere nell’idolatria al pari dei pagani. Yahwed era l’Invisibile, e nemmeno si poteva pronunciarne il nome. Tanto meno raffigurarlo!
La testimonianza di Epifanio è comunque di grande importanza. Quel telo era la Sindone ? Impossibile dire. Si tratta, tuttavia, del primo accenno “storico” a un panno sul quale era impressa l’immagine di un uomo defunto, martire in croce.
La studiosa focalizza nel suo ultimo saggio un altro aspetto di particolare interesse: le analisi delle scritte rilevate sul sacro lenzuolo. Due scienziati francesi, André Marion e Anne-Laure Courage, «esperti dei segnali», studiarono fra il 1994 e il 1995 le tracce di scritture fotografate sulla Sindone nel 1978 da un chimico e da un latinista dell’Università Cattolica di Milano che, osservando il negativo, vi avevano scoperto «tracce di scritture». Le parole «sembravano riferirsi alla morte di Gesù e avevano un aspetto estremamente antico, molto vicino a quello di altre testimonianze risalenti al I secolo».
Quale, dunque, il significato delle scritte «rozze, storte, irregolari e sgrammaticate», di difficile interpretazione? In una dicitura si legge: «Gesù Nazareno». E sembra a se stante, rispetto alle altre. Potrebbe essere «estremamente recente, successiva all’Ottocento; oppure molto antica, talmente antica da apparire ormai desueta già al tempo in cui predicava san Paolo, il quale la butta via senza rimpianti e la sostituisce con “Gesù Cristo”». Interessante anche l’interpretazione della sigla in greco maiuscolo AAAP, invece di Adàr, mese dell’anno ebraico che cadeva fra i nostri marzo e aprile.
A conclusione sono ancora utili le parole della studiosa: «La ricerca storica non offre certezze assolute, ma quando si segue il metodo con serietà e correttezza è possibile arrivare a risultati affidabili; questi primi risultati vanno accolti con umiltà, ponderazione ed equilibrio: infatti sono provvisori, possono benissimo essere messi in discussione e anche superati da ricerche successive che potranno condurre via via a informazioni sempre più precise».