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RECENSIONI è la sezione dedicata a tutti coloro che amano avere la compagnia di un libro, magari che li aspetti la sera sul comodino. Proporremo un Libro Amico ogni settimana, indicandone il genere, il grado di difficoltà, i temi e le qualità.

Lucia Vivian (a cura di)

“La rosa della mia guerra” (con la prefazione di Pietro Gibellini)

Marsilio Editore, 326 pagine, € 24,00


Amante “segreta” di Gabriele d’Annunzio negli anni della guerra – alla quale indirizzò 1200 lettere, alcune assai trasgressive, secretate dal Vittoriale per anni – fu Vidalita, abitante a Venezia, in Palazzo Giustiniani a San Vidal, vicino al ponte dell'Accademia, all'anagrafe Olga Brunner Levi, un'ebrea triestina sposata a un giovane veneziano della buona società; il poeta la ribattezzò anche Venturina, Nidiola, Balkis, Antilope. Era una bella trentaduenne colta, piena di umori, graziosa, eccitante, moglie “non tocca” di un musicologo, addetto, come ufficiale volontario, alla difesa del ponte lagunare, lei stessa musicista e cantante di qualche valore.

Gli incontri con Vidalita furono resi più sapidi dagli impegni di soldato, per cui scrisse di avere «il cuore stretto» come se dovesse «partire per un viaggio senza ritorno; Vidalita mi ha avvolto nel suo laccio sottile». E Vidalita: «Mio dolce Gabri, quanto sono disillusa, e quanto soffro di non poter venire a vederti per prendere la tua testa e farla riposare dove tu sai! Cosa darei per farti una carezza lieve che potesse distendere un po' i tuoi nervi affaticati. Anch'io ho vissuto tutta la giornata pensando al premio della tua visita. Non mi dici nulla per domani».

Scrisse di lei: «Non è anima e non è carne, non è acume e non è stupidezza. ma quanto mi piace! del frutto ha la lanugine lieve: lievissima e più espressiva de' cigli seduttori».

In una delle lettere a Vidalita evocò anche l'evento che drammaticamente lo colpì: la morte della madre, avvenuta il 27 gennaio 1917: «Voglio partire per la mia casa. Voglio condurre io stesso mia madre alla sua pace. Ella me lo domanda. Me l'ha domandato stanotte qui accanto al letto, bella e luminosa come un tempo. Oggi ho la febbre [...] Io adoravo mia madre e ora ho il rimorso di non aver fatto qualche cosa di più, per risparmiarle pur la minima pena. In certe ore della vita si sente quanto valga di più la semplice bontà».

Una ricca selezione dell’importante carteggio è stata ora raccolta in volume e pubblicata da Marsilio con il titolo “La rosa della mia guerra” a cura di Lucia Vivian e con la prefazione di Pietro Gibellini (326 pagine, € 24,00). La Vivian , nella ricca e puntuale introduzione di un centinaio di pagine, mette a fuoco i protagonisti e la loro storia. Ricorda anche la donazione che la Brunner fece alla Fondazione del Vittoriale con il vincolo «di non dare in visione ad alcuno, tali lettere, per almeno dieci anni dopo il decesso di mio marito, e cinque dal mio decesso».

Pietro Gibellini racconta, nella Prefazione, la nascita di questo libro, e l’accurata ricerca che l’ha preceduto: «Quando Lucia Vivian mi chiese una tesi su Gabriele d'Annunzio (il mio primo corso a Ca' Foscari, 1996, verteva sul poeta di Alcyone), non esitai a proporle il carteggio che il poeta-soldato aveva intrattenuto con Olga Brunner Levi, la sua piccola Venturina, l'amica del cuore nel suo secondo, lungo soggiorno veneziano, tra una missione bellica e l'altra. La donna amata era la “rosa della sua guerra”, come ebbe a scrivere, e la relazione con Olga fu vissuta con la leggerezza e l'ardore propri del guerriero nelle pause fra gli appuntamenti col rischio in cui passione amorosa e musica si fondevano e confondevano. Mi pareva strano, infatti, che delle oltre milleduecento lettere di Gabriele a Olga e le quasi altrettante di lei a lui, concentrate soprattutto fra il 1916 e il 1919, non fosse nota che una manciata di stralci».

Il libro – informa sempre Pietro Gibellini – rielabora il lavoro di tesi di Lucia Vivian. «Si tratta di un'antologia, certo; ma se da un lato non si esclude, in futuro, di poter fornire agli specialisti un'edizione completa dell'imponente carteggio, siamo certi intanto di offrire ai lettori un'opera ricca di contenuto umano e varia per materia e per stile»; quei pregi che fanno di d'Annunzio il nostro maggior scrittore di lettere.

La scelta ha privilegiato le lettere riservate, le più interessanti per il lettore, annota ancora Gibellini. Offre, quindi, «una gamma abbastanza ampia di motivi e registri: ecco le lettere d'amore, svarianti fra passione al calor bianco, tenerezza infantile o divertito umorismo, e quelle del disamore, oscillanti fra sospetto e stizza; ecco gli incantati paesaggi di Venezia, fra un magico plein air e il sontuoso interno di un palazzo, dove la musica vibra e fa vibrare; ecco le lettere di guerra, fra l'ebbrezza del volo e del sangue e la desolata contemplazione della morte, fra ansia d'eroismo e nostalgia di erotismo; ecco i travagli di Fiume, la gelosia di lei e le menzogne di lui».

Un carteggio intrigante, d’amore e di musica, «che in certe vertigini di emozione e di stile finiscono per confondersi in un unico sentimento, in una “sensualità rapita fuor da' sensi”».


Attilio Mazza



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