«Fra il 1917 e il 1991
la Russia
ha costituito il nucleo centrale di uno Stato totalitario - l'Unione Sovietica o Urss (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) - che si è posto come nuovo modello economico e sociale contrapposto a quello dei paesi occidentali. L'unione sovietica, costretta in una situazione economica senza via d'uscita con erosione del regime politico e con il desiderio d’indipendenza delle sue repubbliche, si è disfatta delle imprese con una rapidità sconcertante. Con l'instaurazione di un regime democratico
la Russia
ha poi conosciuto un altro evento profondamente sconvolgente - la transizione all'economia di mercato - che ora sembra in via di completamento. Lungo questo variegato percorso
la Russia
ha sperimentato i sistemi economici più disparati: un'economia estremamente statalizzata e centralizzata, poi un'economia di mercato dove lo Stato non svolge neppure le più elementari funzioni di regolamentazione. In ogni fase, grandi speranze sono state seguite da terribili delusioni».
Così scrive François Benaroya, autore nel saggio «L'economia della Russia», pubblicato dal Mulino. Lo studioso lavora come economista presso la banca Bnp Paribas e con questo saggio dà una risposta ad alcuni interrogativi rilevanti:
la Russia
è diventato un'economia capitalista? E’ ormai un mercato promettente o è destinata a nuove crisi? Ma dal caso russo, in questo laboratorio di esperimenti economici avanzati, si possono trarre anche lezioni più generali, in rapporto al ruolo chiave dell'industrializzazione, alla causa il crollo economico sovietico, ai fattori necessari per il buon funzionamento di un'economia di mercato e per una transizione efficace.
Attilio Mazza