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Eva Pföstl
«La questione tibetana. Autonomia non indipendenza: una proposta realistica»
Marsilio, 156 pagine, € 9,00

«La questione tibetana esplora il modo in cui problemi come quelli che riguardano il Tibet possono trovare soluzioni tramite una diversa concezione dello stato. Questo libro suggerisce che la cooperazione tra stati a livello sovranazionale, che già prende piede in molti modi nell'ambito della globalizzazione, sia combinata con una maggiore decentralizzazione e devoluzione di poteri e responsabilità. L'autonomia, dunque, piuttosto che la sovranità, dovrà divenire il principio fondamentale per l'organizzazione delle comunità politiche».
Così scrive il Dalai Lama nella presentazione del libro di Eva Pföstl, «La questione tibetana. Autonomia non indipendenza: una proposta realistica», edito da Marsilio nel cinquantesimo anniversario della pacifica insurrezione del popolo tibetano. L’autrice insegna Diritto delle minoranze e dei gruppi presso la LUSPIO di Roma e negli ultimi dieci anni ha conosciuto direttamente la realtà tibetana recandosi più volte in Tibet e a Dharamsala (India), sede del governo tibetano in esilio.
L'attenzione al carattere distintivo conferito al Tibet dalla sua storia di stato-civiltà separato, emerso parallelamente, ma indipendentemente, rispetto al mondo culturale cinese, è andata crescendo negli ultimi anni. L’autrice, collaborando con il governo tibetano in esilio, ha maturato l'idea che la migliore prospettiva realistica per progredire nella tutela delle minoranze consista in un rafforzamento dell'autogoverno nell'ambito dell'autonomia territoriale. Tra gli esempi «positivi» in questo senso spicca quello dell'Alto Adige/Sudtirol. Lo stesso Dalai Lama, in visita a Bolzano nel 1997 per conoscerne meglio il modello di autonomia, rimase favorevolmente colpito dalla salvaguardia della cultura locale e dalla co-gestione del potere fra i vari gruppi linguistici presenti sul territorio.
«Questa prospettiva – afferma il Dalai Lama nella prefazione al saggio – è coerente con il punto di vista che noi, tibetani in esilio, abbiamo adottato per far fonte alle nostre responsabilità in qualità di liberi portavoce del popolo tibetano. Sin dal lontano 1974 quando la Rivoluzione culturale era ancora in atto in Cina, eravamo convinti che in ogni caso avremmo dovuto parlare con il governo centrale cinese. Il nostro scopo allora non era quello di cercare la separazione o l'indipendenza, ma piuttosto quello di ottenere una significativa e realistica autonomia per i tibetani all'interno della Costituzione cinese. Questo rimane ancora oggi il nostro obiettivo principale».

Attilio Mazza