Questo libro è un manifesto di resistenza botanica, personale e ironico che, partendo dalla polemica contro i giardini oggi di moda, offre uno spaccato della nostra società. L'autore prende in considerazione i giardini dei collezionisti fanatici, ossessionati dalla rarità e particolarità delle specie al punto da scordarsi di trarre piacere dall'aspetto o dal profumo dei fiori; i giardini delle signore per bene, viziati da un'inventiva asfittica e meccanica, leccati e finti; i giardini miliardari, status-symbol e sfoggio di ricchezza, uno dei massimi esempi di non-giardino perché chi lo possiede non ha un briciolo di passione, e si affida a professionisti dal nome inevitabilmente inglese, i garden-designer; i giardini moreschi, che hanno sostituito il giardino giapponese nel trend esotista occidentale.
Per fortuna, in questa valle degli orrori, ci sono anche piacevoli sorprese, come i giardini dei benzinai, quelle aiuole selvagge e imprevedibili, concimate dall'inquinamento, che per qualche bizzarria della natura danno vita a creazioni sorprendenti e toccanti
Carlotta Lombardo ha scritto sul «Corriere della Sera», a proposito di questo libro: « Ma la sorpresa più grande è che l'autore ci ricorda che dentro ognuno di noi esiste un giardino: forse diventare giardinieri, imparare a conoscere e rispettare le piante, entrare a poco a poco nel loro mondo lasciandoci dietro le spalle ossessioni nevrotiche e consumiste, significa riavvicinarci a quel paradiso da cui pensavamo di essere stati esclusi. Umberto Pasti, che si divide tra Milano, Tangeri e un piccolo villaggio del nord del Marocco, dove ha creato un giardino con piante locali in via di estinzione, l'ha fatto. E ha scoperto che quel mondo intatto e meraviglioso esiste. Basta riuscire a vederlo».
A cura di Attilio Mazza