Tutti i diritti riservati


Paul Freedman
Il gusto delle spezie nel Medioevo

Il Mulino, 314 pagine, € 28,00

Recensione
di Attilio Mazza

C’erano una volta i quattro fiumi del Paradiso. Le loro sorgenti erano nell’Eden dal quale furono cacciati Adamo ed Eva. Si favoleggiava si trovassero in un Oriente generalizzato: Egitto, Mesopotamia, Etiopia e altri territori. I nomi dei mitici e grandi corsi d’acqua si leggono nella Bibbia: Tigri, Eufrate, Pison e Ghion (Nilo). E dalle terre dei quattro fiumi provenivano tutte le spezie, essendo il Paradiso, giardino di aromi, di profumi e di pietre preziose.
Non è una fiaba. Così si credeva nel Medioevo. Una delle carte geografiche disegnata attorno al 1300 «mostra il Paradiso terrestre come un’isola posta all’estremità orientale dell’Asia […] Il Paradiso è chiuso da una cinta di mura con una porta fortificata. I quattro fiumi si diramano dall’isola per poi scomparire e ricomparire altrove», scrive Paul Freedman, docente di storia all’Università di Yale, nel libro Il gusto delle spezie nel Medioevo, edito dal Mulino (314 pagine, € 28,00).
Pesca miracolosa – Il francese Jean de Joinville, nella vita di san Luigi IX, che regnò sulla Francia dal 1226 al 1270, tramandò una curiosa consuetudine: «Prima che il fiume entri in Egitto, la gente che è usa a questo lavoro getta le proprie reti alla sera nelle acque del fiume e lascia che esse vi si distendano. Quando giunge il mattino, costoro trovano nelle loro reti cose che sono pesate e vendute e importate quindi in Egitto, come, ad esempio, zenzero, rabarbaro, aloe e cannella. Dicesi che tali cose vengano dal Paradiso terrestre, perche in quel luogo celestiale il vento tira giù i rami dagli alberi, come fa con la legna secca nelle foreste delle nostre terre, e la legna secca degli alberi del Paradiso che in tal modo cade nel fiume è venduta a noi da mercanti in quel paese».
E a che prezzo! Solo i re e i nobili avevano denaro, nel Medioevo, per acquistare grandi quantitativi di spezie. Erano uno dei simboli di prestigio e di successo. «Le forme medievali dell'ostentazione – scrive Freedman – potevano essere decisamente impressionanti. Ne1 1476 i1 matrimonio del duca di Baviera Giorgio i1 Ricco con la principessa polacca Jadwiga fu ostentatamente accompagnato da una 1unga serie di banchetti. I resoconti dei festeggiamenti ci presentano la quantità stupefacente di spezie che venne impiegata: 174 kg di pepe, 129 di zenzero, 93 di zafferano, 92 di cannella, 47 di chiodi di garofano e solo 38 di noce moscata. Una parte di queste spezie può essere stata distribuita a titolo di regalo ai convitati, e certo i festeggiamenti si prolungarono per giorni e giorni, ma la quantità complessiva resta comunque sbalorditiva, Ben oltre 1e preferenze cu1inarie, e certamente anche oltre la pura necessitä (come quella della conservazione delle carni), la spezie qui rappresentano un'esibizione calcolata di ricchezza, prestigio, stile e splendore».
Leggende metropolitane – Le spezie furono generi costosissimi di lusso, dall’anno Mille e sino al 1513, quando i portoghesi esplorarono le Molucche, parte orientale dell’Indonesia, la più ricca fonte di chiodi di garofano, noce moscata ed altro, al punto da essere chiamate Isole delle spezie.
Legittimo chiedersi le ragioni. Freedman smentisce la diffusa “leggenda metropolitana”: che servissero per bloccare e rallentare il processo di deterioramento delle carni. Tesi «convincente ma assolutamente falsa». Esse non sono particolarmente efficaci rispetto ad altri metodi, quali salatura, salamoia, affumicatura o essicazione.
Il loro potere di fascinazione dipendeva «dall’uso che se ne faceva per un tipo molto raffinato di cucina. Il cibo, nell’Europa medievale, o almeno quello che si potevano permettere le classi economicamente più agiate, era profumato da una grande quantità di spezie». La forte richiesta e la rarità ne facevano un bene di grande lusso. Poi le mode cambiarono già nel Cinquecento e soprattutto nel Settecento. Divennero meno rare – anche perché molte spezie come lo zafferano, vennero coltivate in alcuni Paesi europei – e mutarono i gusti gastronomici.
Francesco Pegolotti, un banchiere fiorentino che frequentò a lungo l’isola di Cipro, uno dei grandi centri di smistamento delle spezie per l’Europa, nel suo libro La pratica della mercatura, tramandò il ricordo di ben 288 spezie («speziere») diverse e appartenenti a 193 sostanze. Molte, infatti, sono delle varietà: tre tipi di zenzero, due gradazioni di cannella, e così via.
Alcuni aromi sono caduti dall’uso. Il pepe lungo, ad esempio (che non ha nulla a che fare con il pepe nero) è uscito dai ricettari della cucina europea nel Settecento. «Anche la zedoaria, un’altra radice aromatica che ha qualche affinità con la curcuma, è ormai scomparsa ovunque, tranne che in India, mentre nell’Europa medievale veniva citata nei libri di cucina, e le veniva attribuito un aroma tanto attraente da farla includere fra le piante fragranti del magico giardino dell’amore con cui si apre il popolare poema allegorico Romanzo della rosa».
Al contrario una spezia ignota all’antichità, lo zucchero (greci e romani usavano il miele come dolcificante), ebbe un destino di grande successo, al punto da diventare un bene di largo consumo. Esso, «pur non essendo propriamente un’essenza aromatica, veniva tuttavia catalogato fra le spezie in virtù dei criteri che nel Medioevo si classificavano fra i beni importati» dall’India, per essere quindi un prodotto esotico. Si tratta del ricavato dalla canna da zucchero la cui produzione già nel Quattrocento si diffuse in Spagna, Sicilia e Isole Canarie.
Profumi e minerali miracolosi – Non solo aromi per tavole raffinate, nel Paradiso dei quattro fiumi. Vi erano anche profumi e minerali preziosissimi per la stessa salute dell’uomo. La saggezza popolare insegnava nel Medioevo che «ogni spezia commestibile era per sua natura destinata a un uso medico. Entrarono quindi nella farmacopea, assieme a “spezie” che oggi non consideriamo tali, anche altri generi. «Un toccasana che veniva comunemente citato era la tuzia, composta di residui carbonizzati ottenuti dalla raschiatura della canna dei camini. La tuzia, secondo Pegolotti, era importata da Alessandria d'Egitto, perché si riteneva che il ricavato dai normali camini europei non sarebbe bastato. Era considerata una spezia perché non deperibile, importata, fragrante (almeno secondo una certa prospettiva), venduta in modiche quantità e molto costosa».
Le spezie furono un prodotto meraviglioso non solamente di uso pratico, ma pure di grande utilità nei processi di perfezionamento spirituale. Ed ebbero anche una loro forza seduttiva: potevano inebriare e indurre al peccato della carne. Il male contrapposto al bene: Tutto a causa della loro origine paradisiaca. Il senso del mistero si mescolava con ciò che era evidente. Ma soprattutto era ben noto a tutti l’uso pratico delle specie aromatiche nell’arte culinaria e nella medicina.
Gli stessi viaggi alla scoperta delle terre in cui crescevano avevano poi non solo una finalità economica. Rientravano nel desiderio medievale di penetrare i segreti della terra, di vivere e conoscere la bellezza del mondo.

(copyright Attilio Mazza)