CULTURA - A cura di Paola Bonfadini

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“Le intoccabili corde della mente”:
L’arte di saper ascoltare di Plutarco



Ascoltare? Non ne siamo più capaci.
Il silenzio? È scomparso.
Tutti parlano, parlano: più nessuno ascolta.
L’uomo recita un lungo ed interminabile monologo.
Ognuno è solo, prigioniero dei propri discorsi.
L’“altro” è una vuota parola che non lascia traccia.
Avvolti da parole inconsistenti e da scintillanti immagini abbiamo, però, spesso paura di sentire la voce che è in noi.
Una condizione strana e inconsueta attanaglia senza tregua l’individuo contemporaneo.
La cura? Non c’è. O, forse, c’è. Si tratta di un affascinante e modernissimo libro di Plutarco, celebre intellettuale greco sopravvissuto all’età neroniana (Cheronea in Beozia 46 d.C. – dopo il 119 d.C.), autore di fondamentali opere storiche, politiche ed etico-filosofiche, fra cui ricordiamo Le vite parallele e i Moralia: l’autore scrive un prezioso lavoro ricco di saggezza e buonsenso intitolato L’arte di saper ascoltare (PLUTARCO, L’arte di saper ascoltare, cura e traduzione di Mario Scaffidi Abbate, Newton, Roma 2006).
Nell’agile volume con testo originale a fronte l’erudito antico immagina di rivolgersi ad un giovane allievo, Nicandro, figlio di un certo Eutidamo, forse Gaio Memmio che fu “collega” di Plutarco a Delfi, con lo scopo di educarlo alla nobile arte dell’ascolto: “T’invio questi miei consigli, affinché tu sappia ascoltare correttamente chi cerca di persuaderti con l’arte della parola.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 1, pp. 48-49). Lo scrittore, con notevole profondità psicologica ed efficacia argomentativa, smonta poco a poco i complicati meccanismi della psiche, millenni prima di Freud e compagni, facendo un’analisi convincente dell’animo: “Ed è solo seguendo la ragione che si può essere veramente liberi.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 1, pp. 48-49).
La concezione dell’essere, perciò, è basata su semplici, ma basilari elementi: l’uomo è un essere senziente, cioè una creatura vivente in cui i sensi sono fondamentali per rapportarsi alla realtà. In particolare, l’udito risulta particolarmente importante perché, come la vista, è formato da due organi con il fine di ben afferrare emozioni e informazioni.
Tutti sono “esseri socievoli” sulla scia di Aristotele, poiché spontanea è la capacità di comunicare. Siamo, infatti, per natura, grandi comunicatori e facciamo della relazione con i nostri simili un tratto costituente della nostra personalità ed esistenza, pur fra luci ed ombre: “La parola è lo strumento capace di procurare i danni e i benefici più grandi.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 2, pp. 52-53), in quanto “i giovani possono trarre dall’ascolto non solo grande vantaggio, ma anche un grande pericolo.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 2, pp. 52-53).
Ecco, allora, che l’abitudine all’ascolto diviene uno dei momenti-chiave per la crescita umana. Bisogna, del resto, imparare ad ascoltare, dal momento che, attraverso il delicato equilibrio tra ascolto e comunicazione, noi siamo in grado di rispettare l’altro e di farci rispettare: “La parola bisogna prima imparare ad accoglierla bene per poterla poi pronunciare, così come il concepimento e la gravidanza sono anteriori al parto.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 3, pp. 52-53).  
Se ascoltiamo una qualsiasi persona, stiamo attenti a quello che dice, sia con la mente e con l’atteggiamento corporeo: “Quando si ascolta qualcuno, occorre prestargli orecchio attentamente, affinché non si perda una sola parola di quello che dice.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 3, pp. 54-55).   Secoli prima della prammatica e della metalinguistica Plutarco aveva capito ogni cosa!
Inoltre, ascoltando, dobbiamo forgiare noi stessi al controllo delle passioni, senza nutrire invidia o rabbia verso chi abbiamo di fronte: “Il silenzio, quando si ascolta qualcuno, è sempre un ornamento sicuro, specialmente per un giovane, ma bisogna evitare di agitarsi e di abbaiare ad ogni battuta, aspettando pazientemente che l’interlocutore abbia finito di esporre il suo pensiero, anche se non si condivide, senza per investirlo subito con una sfilza di obiezioni, ma – come dice Eschine – concedendogli ancora un po’ di tempo perché possa integrare, chiarire o correggere quanto ha detto, ed eventualmente ritrattare qualche frase affettata. Chi infatti passa subito al contrattacco non solo interrompe e spezza il logico fluire del discorso, ma non ci fa una bella figura e finisce per non ascoltare e non essere ascoltato. Se, invece, è abituato a controllarsi e rispettare gli altri, mentre parlano, riesce a trarre da ogni discorso qualche spunto che può tornargli utile a discernere meglio e a smascherare il vuoto e la falsità dell’interlocutore, offrendo di sé l’immagine di una persona amante della verità non dei battibecchi, e per di più riflessiva e aliena dalla polemica.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 4, pp. 56-57). E lo storico greco aggiunge: “Messi, dunque, da parte l’ambizione e il piacere dell’udire, dobbiamo ascoltare chi parla con animo pacato e bendisposto, come se fossimo stati invitati ad una banchetto sacro o alla cerimonia iniziale di un rito religioso, approvando chi si esprime bene appropriatamente, o quanto meno apprezzando la buona volontà di chi espone in pubblico le proprie opinioni e cerca di accattivarsi l’uditorio utilizzando gli stessi ragionamenti che hanno convinto lui.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 6, pp. 58-59). In più “dobbiamo tenere presente che i buoni risultati di un discorso non dipendono dal caso o dalla buona sorte, ma sono frutto di studio, di impegno e di duro lavoro, perciò bisogna trarne motivo di ammirazione per chi parla e cercare di imitarlo.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 6, pp. 58-59).
Nelle domande, poi, non dobbiamo far sfoggio di cultura e mettere in difficoltà l’altro, ma è bene cercare la verità attraverso la chiarezza nell’esposizione: “Dobbiamo, dunque, giudicare prima noi che colui che parla, chiedendoci se anche a noi  possa accadere d’incappare inconsapevolmente in qualche simile errore. È facilissimo, infatti, biasimare gli altri, ma è cosa sterile e vuota se quella critica non la volgiamo anche verso noi stessi e se non c’induce a correggere o ad evitare analoghe scorrettezze. Quando sentiamo uno che sbaglia chiediamoci – ripetendo un celebre detto di Platone – se anche noi per caso non siamo simili a lui.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 6, pp. 60-61). “Occorre anche evitare di porre troppe domande e d’intervenire continuamente, perché anche questo è indice di esibizionismo. Ascoltare, invece, con pacatezza gl’interventi altrui denota rispetto e volontà di apprendere, a meno che uno non si senta turbato da qualche frase e avverta il bisogno di liberarsi da quella passione che l’opprime e di alleggerirne il tormento. Eraclito dice che «la propria ignoranza è meglio tenerla nascosta», io invece credo che torni più utile tirarla fuori, perché solo così la si può curare.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 12, pp. 72-73).
Quando noi, ancora, parliamo, dobbiamo essere sintetici e comprensibili, in nome della verità: “Nel caso, però, di una discussione filosofica occorre mettere da parte la reputazione dell’oratore e badare alla sostanza di ciò ch’egli dice.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 7, pp. 63-64).
Simili “regole di comportamento comunicativo” devono valere in ogni situazione, in famiglia e con gli amici, sul lavoro e in politica, ossia in tutte le occasioni pubbliche e private: ad esempio, “gli adolescenti non stanno tanto a guardare se chi parla sia un filosofo, né come viva e si comporti in pubblico, ma restano abbagliati dal suo linguaggio, dal suo frasario e dalla bellezza formale della sua esposizione, non essendo in grado di capire o rifiutandosi d’indagare se ciò ch’egli dice sia utile o nocivo, necessario oppure vuoto e superfluo.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 9, pp. 68-69).
Gli elogi, tuttavia, “devono essere cauti e misurati, perché in questo caso il troppo e il troppo poco non si convengono ad un animo libero e schietto. […] Chi ha un animo veramente e solidamente buono si sente gratificato al massimo nel riconoscere pubblicamente i meriti altrui: il rendere onore, infatti, è già di per se stesso un onore, quando nasce da una pienezza e sovrabbondanza di stima nei confronti di chi lo riceve. Chi, invece, è avaro di elogi dimostra di esserne egli stesso povero e affamato.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 13, pp. 74-75).
Attuali si presentano le osservazioni sull’atteggiamento da tenere durante le conferenze: “L’ascoltatore ha, dunque, una vasta gamma di motivi o di spunti per mostrarsi gentile con chi tiene una conferenza o una lezione. Non è necessario dimostrarglielo con la voce, bastano uno sguardo mite, un volto pacato, un atteggiamento benevolo e interessato. […] L’amore, infatti, è come l’edera, che trova sempre una scusa per attaccarsi a qualcosa.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 13, pp. 76-79).
Il personaggio conclude il volumetto evidenziando la responsabilità etica di quanto affermiamo ogni giorno: “La mente non è un vaso da riempire, ma come legna da ardere ha solo bisogno di un scintilla che l’accenda  e le dia l’impulso per la ricerca e un amore ardente per la verità. […] Questi, in conclusione, sono i consigli fondamentali da tenere a mente per ulteriori suggerimenti su come si debba ascoltare. Bisogna, però, che alla teoria si unisca la pratica, attraverso l’esercizio delle personali capacità inventive, per costruirsi una «forma mentis» non da sofisti, da storici o da scienziati, ma intima e filosofica, nella convinzione che un buon ascolto è il punto di partenza per vivere bene.” (PLUTARCO, op. cit. 2009, 17, pp. 90-91).
Mai come oggi sarebbe necessario leggere e conoscere meglio Plutarco e la sua così significativa lezione di saggezza e umanità!

Per saperne di più

PLUTARCO, L’arte di saper ascoltare, cura e traduzione di Mario Scaffidi Abbate, Newton, Roma 2006, pp. 1-98, ISBN 978-88-541-0644-4.