CULTURA - A cura di Paola Bonfadini

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A che serve la cultura?
le Rane di Aristofane


A che serve la cultura? E le arti, la musica, la poesia sono davvero inutili in una società come la nostra, prigioniera della sete di guadagno e di potere?
Noi ci troviamo in un mondo che sembra avere smarrito ogni fattore etico. Vale ciò che dà profitto immediato. Il concetto di “economicità” diventa il filo conduttore del procedere esistenziale. Il denaro, il prestigio politico e sociale diventano il motore della storia.
Cosa è possibile, dunque, sperare? Tra i bisogni primari dell’individuo sono escluse inesorabilmente tutte le espressioni legate all’interiorità?
Leggere una bella poesia, gioire di fronte ad un tramonto, ad un quadro, emozionarsi nell’assistere ad uno spettacolo teatrale o ad un concerto sono atti disprezzabili in una società “neobarbarica” come la nostra?
Tali domande sembra porsi il greco Aristofane nella celebre commedia intitolata Rane (ARISTOFANE, Rane, traduzione di Raffaele Cantarella, Einaudi, Torino 1980).
Il viaggio avventuroso e spesso ridicolo del dio Dioniso e dello schiavo Xantia risulta il pretesto per riflettere sull’importanza della cultura in una comunità.
I due personaggi cercano nel regno dei morti un poeta tragico capace di far rivivere le idealità morali nella corrotta e superficiale Atene. Le situazioni buffe e spesso oscene, offrono, però, oltre all’intrattenimento, spunti di analisi per cercare di capire ciò che è veramente utile, oggi come ieri, a ciascuno di noi.
Dioniso, divinità greca del vino e dell’ebbrezza, riceve il compito di recarsi nell’Ade, il regno dei morti nella religione classica, per tentare di riportare sulla Terra un valido poeta tragico. Accompagnato dall’acuto ed irrispettoso schiavo Xantia, il dio riesce, dopo tragicomiche avventure, ad affrontare i mostri del regno dei morti, dal feroce Cerbero al forte ed ottuso Eracle. Infine egli raggiunge la zona in cui vivono i poeti scomparsi, dall’autorevole Eschilo, all’equilibrato Sofocle, fino all’odiato Euripide.
“I nostri eroi” si trovano, così, loro malgrado, coinvolti in una specie di gara per stabilire quale sia il poeta più bravo. Il saggio Eschilo e il frivolo Euripide si sfidano senza esclusione di colpi: “Eschilo: «Rispondimi: per quale motivo bisogna ammirare un poeta?» Euripide: «Per l’abilità e per i consigli, in quanto rendiamo migliori i cittadini.»” (ARISTOFANE, op. cit. 1980, p. 46). Il coro commenta passo dopo passo la disfida, quasi in una radiocronaca ante litteram attenta e precisa: “Coro: «In primo luogo pensiamo si debbano pacificare i cittadini e liberarli dal timore.»” (ARISTOFANE, op. cit. 1980, p. 34).
Vince il profondo vecchio scrittore, il quale, quindi, merita di tornare tra i vivi per diffondere la virtù. “Eschilo: «Ma il poeta deve nascondere il male, non svelarlo e portarlo sulla scena. Ai bambini, insegna il maestro; ai giovani, il poeta. Noi abbiamo il dovere, assolutamente, di dir cose oneste. »” (ARISTOFANE, op. cit. 1980, p. 48).
Aristofane, tramite la vicenda, fa un ritratto molto vivido e, a tratti, caustico dell’ambiente: “Eschilo: «Il vino che bevi non odora di fiori.»” (ARISTOFANE, op. cit. 1980, p. 52). Non si salva, infatti, davvero nessuno: né gli dei e semidei come Dioniso ed Eracle, simboli dei difetti umani enfatizzati ed ampliati. Né si salva la nuova cultura espressiva incarnata da Euripide, più interessato ad avere successo sul pubblico con “effetti speciali” di stile e contenuto.
In realtà, dietro i lazzi e gli sberleffi della commedia, emerge l’indignazione dell’autore per un’umanità  incosciente che ha smarrito equilibrio ed onestà, per una classe politica arrogante ed ignorante. A proposito di Alcibiade Euripide afferma: «Io odio il cittadino che si mostra lento nel giovare alla patria, ma pronto nel farle molto danno; industrioso per se stesso, e senza risorse per la patria.» ed Eschilo afferma che «non bisogna allevare nella città un cucciolo di leone.» (ARISTOFANE, op. cit. 1980, p. 64)
Nel commediografo, perciò, si nasconde il moralista deluso ed arrabbiato.
In una società in cui il vizio è il modello di comportamento e la virtù è male, la guerra per il rinnovamento etico compiuta dallo scrittore greco è appena iniziata. Plutone nelle battute finali augura: «Buon viaggio, dunque, Eschilo: salva la patria nostra con buoni consigli e ammaestra gli stolti. Sono tanti!», mentre il corifeo conclude: «E voi, divinità infere, concedete anzitutto felice viaggio al poeta che se ne va e risale alla luce; e alla città buoni pensieri per grandi fortune; così saremo completamente liberati da grandi affanni e da tristi adunate in armi.» (ARISTOFANE, op. cit. 1980, p. 67).

PER SAPERNE DI PIÙ

ARISTOFANE, Rane, traduzione di Raffaele Cantarella, Einaudi, Torino 1980