Il pianeta di Paola Bonfadini

SESSANTUNESIMA TAPPA


Magiche visioni:

il valore simbolico dei colori nelle antiche civiltà*

Qualche considerazione introduttiva

Rosso, blu, nero, giallo, verde, l’arcobaleno, il cielo stellato, un mazzo di fiori, la Cappella Sistina di Michelangelo, l’ultimo abito di moda.

La nostra vita è impregnata, imbevuta di colori.

Noi siamo colori, respiriamo luce, aria e colore. Il prato è verde, il foglio è bianco, gli occhi sono azzurri, marrone. Il colore del lutto è il nero, il bianco quello dell’abito della sposa e così via all’infinito.

La vita senza colore, invece, sembra improponibile, anche se esiste il dialogo col buio, meritoria iniziativa dell’Unione Italiana Ciechi, realtà in cui gli altri sensi sopperiscono alla mancanza della vista.

Il colore, comunque, è fondante nella nostra esistenza e costituisce un argomento complesso, oggetto di studio che si può affrontare secondo varie prospettive, scientifiche, psicologiche, storico-simboliche, letterarie ed artistiche.

Le civiltà umane, infatti, sono civiltà cromatiche e solo cercando di determinare l’evoluzione e i caratteri che assumono nei secoli e nei millenni i colori stessi è possibile tracciare uno spaccato di gusti, mentalità, ideologie politiche e religiose.

Alcune definizioni e un po’ di storia

Il colore, innanzi tutto, come recita il dizionario, “è la sensazione che dà all’occhio la luce riflessa dei corpi, ossia è la qualità dei corpi per cui riflettono in vario modo la luce” e l’emozione è “un intenso moto affettivo, piacevole o penoso, accompagnato per lo più da modificazioni fisiologiche e psichiche, come pallore o rossore, dal latino ex-movere, muovere da”.

Proprio il colore e l’emozione possono diventare il filo rosso di collegamento di un discorso articolato e ricco di spunti interessanti ed enigmatici. L’occhio che percepisce il colore, lo sente, lo interiorizza e lo carica di valenze simboliche, spesso diverse nel tempo e nei luoghi.

Lo scienziato Eugène Chevreuil nella famosa opera Des couleurs et de leurs applications, edita nel 1864, cataloga più di 14.400 tonalità cromatiche materiali e distingue tonalità, brillantezza, saturazione o colore pieno.

Ma sorge un interrogativo che può sembrare, all’inizio, scontato: il verde che noi percepiamo è uguale per tutti? Il nero simbolo di lutto ha il medesimo significato nel mondo intero? Gli Egizi, i Greci, i Romani distinguono come noi le tonalità e i termini, che indicano i loro colori, sono gli stessi nostri? Carlo Magno, Dante, Machiavelli, Leopardi e Manzoni vedono veramente il rosso che noi stessi ammiriamo?

La risposta si presenta complessa e piena di spunti curiosi.

La percezione dei colori presso le antiche civiltà, del resto, almeno fino all’Alto Medioevo non è completamente sovrapponibile a quella moderna né per l’identificazione delle tinte, né per la loro fabbricazione.

I processi per l’esecuzione delle pitture murali dei templi egizi, la pittura ad encausto romana, le miniature dei codici medioevali non sono gli stessi nostri e sovente non siamo in grado di riprodurre le secolari tecniche esecutive.

Nemmeno il linguaggio ci aiuta: ad esempio, nei poemi omerici, Atena è kuanos, tradotto male con dagli occhi azzurri, quando pare che il termine indichi soltanto una sfumatura scura.

Gli Egizi, poi, danno al colore il nome di pietre a cui associano una virtù curativa, come lo smeraldo, verde e considerato un potente controveleno. In ebraico, Adamah, il nome del primo uomo creato da Dio, è associato al rosso, simbolo di forza, energia vitale. I Greci basano la loro percezione cromatica sulla contrapposizione tra “ciò che illuminato” e “ciò che non lo è” e non conoscono l’azzurro: le loro architetture, civili e religiose, sono coloratissime. I Romani potenziano le tecniche per la realizzazione del colore con appositi tintori specializzati per tipologie cromatiche, come i flammarii (giallo aranciato) e i crocotarii (giallo chiaro); inoltre, il rosso porpora della toga praetexta è simbolo di autorità e potere. I popoli barbarici si dipingono il corpo di blu per intimorire gli avversari. Il Cristianesimo sostituisce al rosso porpora pagano la nuova triade bianco-verde-viola, segno di passione e resurrezione, mentre l’Islam trasforma il verde e l’azzurro nella forte traccia della fede.

Sarà Carlo Magno, con i suoi dignitari, tra VIII e IX secolo, a cominciare ad indossare vesti con tonalità azzurre e nel Medioevo la tintura dei tessuti e la fabbricazione dei colori, con difficili operazioni tecniche segrete ed alchemiche, saranno un elemento fondante delle società e dell’economia del periodo.

In particolare, è nell’ambito delle arti, della filosofia e della scienza che il colore viene utilizzato ed analizzato con particolare interesse.

Ad esempio, Leonardo da Vinci, nel trattato Della Pittura individua una scala di otto tinte, escludendo il bianco ed il nero, mentre per Telesio e Galileo la cromia è un elemento accessorio dei corpi, perché il meccanismo di percezione, grazie alla ragione, è il medesimo per l’umanità. Bisognerà aspettare il prisma che scompone la luce di Newton tra XVII e XVIII secolo per parlare della tavolozza cromatica in termini scientifici e non più simbolici.

Considerazioni conclusive

Quale, allora, l’importanza del colore nelle antiche civiltà?

L’alfabeto cromatica, spesso essenziale, rappresenta un insieme di simboli affascinante, in cui le arti, la moda suggeriscono  dignità, stato, gruppo di appartenenza, luogo e tipo di esistenza agli individui. Un monaco si veste in modo differente da un soldato, Casanova in maniera diversa da Clemente XIV.

Si tratta, comunque, di una “storia a colori”, in cui con la Riforma Protestante e la prima rivoluzione industriale impongono il nero, non più solo sinonimo di dolore, ma emblema della borghesia emergente, fino al trionfo del grigio, del bianco, del non colore, nella nostra società contemporanea grigia in cui tutto è imposto ed appiattito in “ruoli e colori di massa”.

Per saperne di più

-   MANLIO BRUSATIN, Storia dei colori, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2001.



* Il presente testo sviluppa il contenuto della conferenza dal medesimo titolo tenuta martedì 3 aprile 2007 presso l’associazione “Innerwheel” di Brescia.