Il cielo, questo tetto così familiare sotto il quale viviamo e che, allo stesso tempo, rappresenta l’infinito ignoto e misterioso da cui siamo circondati. «Di fronte al cielo ogni uomo è tutti gli uomini, e non c’è nessuno che non sia l’universo» diceva Borges. Impossibile richiamare la sterminata letteratura fatta di riferimenti, ipotesi, simbologie che s’attagliano alla sfera sopraceleste, quella dimensione di cui la vita umana è figlia sia in senso fisico sia nel suo più alto significato spirituale. A tentare una sintesi di quella pluralità di settori della cultura che convergono sul cielo come luogo di elezione della teologia, della filosofia e della scienza, è il ciclo d’incontri (curato da Antonio Sabatucci) «La costruzione del cielo. Arte, scienza e mistero dell’infinito», che ha inaugurato ieri al salone Vanvitelliano con Paolo Garuti, padre domenicano, saggista (tra i suoi studi, «Monumento e documento: la prossimità del Calvario al Santo Sepolcro nei testi e nei rilievi archeologici», «Apocalisse e libri apocalittici. Meditazioni ad alta voce») e relatore in convegni internazionali. L’hanno introdotto il sindaco Paolo Corsini e la prof. Marisa Strada, docente all’Università di Venezia e presidente di «Starrylink» (un portale Internet dedicato, appunto, al cielo). Mistero e speranza: cosa ci riserva l'orizzonte ultraterreno? Può illuminarci nel cammino il valore del termine "cielo", considerato non soltanto nella tradizione cristiana, ma anche nelle culture ebraica ed ellenistica (per Platone, "ouranos" è oggetto di un mito che allude alla dimensione in cui risiedono, nella loro perfezione, le essenze ideali). «Dobbiamo partire dalla Bibbia - dice padre Garuti -. La parola "hel" definisce allo stesso tempo Dio e il cielo, non perché essi si identifichino, ma perché entrambi si riferiscono a ciò che non è umano e che non vediamo immediatamente. Il cielo, in quanto Dio, è sorgente di vita - da esso scaturisce la pioggia - ma può diventare anche una potenza distruttiva. Così lo vede l'uomo dell'Antico Testamento: lo venera, ma sente anche che il Creatore deve intervenire per arginare la sua ipostasi, che coincide con la fase del diluvio». «Firmamento» è l’altra espressione su cui si sofferma il biblista, la «calotta solida» che salva le cose e le «tiene ferme» dopo il riversarsi delle acque, ma che anche «pone un limite» ed è «segno di un esilio eterno» rispetto al divino. «Mettere dei limiti al caos» è allora l’azione creativa di Dio, prosegue nella sua disamina Paolo Garuti: il cielo risulta retto da una legge («torah» per gli ebrei, «nomos» per i greci), che ha la capacità di regolare il movimento ciclico degli astri: «All’inizio è Dio che gestisce tutto, ma, in una fase più evoluta, i sacerdoti del tempio di Gerusalemme s'interrogano. Il cielo comincia a riempirsi di abitanti che muovono questa grande macchina. Appare chiaro che è popolato di "dei", ma "dei figli" o "dei piccolini", che guidano il sistema delle stelle asserviti alla volontà divina e, in qualche modo, influenzano il destino degli uomini». In questa città di angeli c’è anche un "visir cattivo", un "certo Satan", che, spiega il padre domenicano «si mette in mezzo, accusa Giobbe di non essere così perfetto come dovrebbe essere, ma troppo "misto di tutto": bene e male, finito e infinito…». Nella prospettiva del Nuovo Testamento il cielo è anche sintomo di un disordine profondo. «È l’ammissione che qualcosa da fare c’è anche lassù, e non soltanto su questa terra - osserva padre Garuti -. Come? Sconfiggendo il visir cattivo, non dandogli la sua arma, che consiste proprio nella legge». La sconfitta e la riconciliazione avverranno grazie ad un Uomo, che «secondo la legge è stato condannato e che è risorto, vincendo il suo limite essenziale: la morte». «Dio ha dimostrato che la legge con le sue divisioni è finita, ha detto che il Messia era qui, colui che aveva il diritto di tenere in mano le sorti dell’umanità» commenta padre Paolo Garuti. E ci offre un’immagine di "sinfonia cosmica", ispirata all’arte delle Chiesa bizantina. Provate a pensare alla raffigurazione del Padre alla cui destra siede il Figlio, gli angeli che gestivano il ciclo della natura e le costellazioni stanno sotto, e via via fino a toccare quel pavimento su cui poggia i piedi lo stesso individuo che guarda verso la cupola. «È così - conclude padre Garuti - che riconosce il volto di quell’Uomo, la chiave che regge il cielo e l’intero universo».
|