Rassegna Stampa

Venerdì 04 Aprile 2003

Renata Pisu al Vanvitelliano

IL CIELO DELLA CINA COSÌ UNITO ALLA TERRA

di Alberto Ottaviano



L’Eurasia è una sorta di continente continuo dalla nostra Europa fino all’India; varcata la piega montana dell’Himalaia invece tutto cambia, soprattutto dal punto di vista delle concezioni religioso-culturali. Il cielo religioso dell’India, per esempio, ha molti punti in comune con l’Olimpo della mitologia greca: anche gli dèi indiani sono un poco pasticcioni come Zeus e compagni; la Cina invece non ha questa ricchezza folcloristica, anzi manca di un Olimpo organizzato come quello greco-romano che noi conosciamo. Renata Pisu comincia a delineare così le differenze tra il cielo orientale (soprattutto quello cinese) e quello occidentale. La giornalista - inviata in Estremo Oriente prima della Stampa e poi di Repubblica, grande esperta di culture orientali - è intervenuta ieri in Loggia per i Pomeriggi in Vanvitelliano dedicati al cielo. Il ciclo è promosso dall’Amministrazione comunale e da Starrylink (per chi volesse visitare il sito di questo «portale del cielo», l’indirizzo è www.starrylink.it). Giovedì prossimo, 10 aprile, sarà Carlo Bertelli a concludere questa serie di incontri: parlerà del cielo e l’arte. Introdotta da Marisa Strada, Renata Pisu sottolinea subito come per la concezione culturale cinese non ci sia la contrapposizione cui noi siamo abituati tra cielo e terra. Per noi il termine «cielo» è anche la metafora di Dio, del Paradiso e degli angeli, mentre per i cinesi il «cielo» ha un senso pieno che non può essere scisso: è una nozione globale, espressione di un ordine divino e naturale insieme. È una concezione che emerge anche dalla stessa scrittura cinese in ideogrammi: il cielo è «ciò che sta sopra un uomo grande» (un sovrano); il mondo è «ciò che sta sotto il cielo». C’è dunque un collegamento immediato tra cielo e cose umane, che sono quelle che stanno sotto il cielo: non si può parlare dei due elementi in modo slegato. Anche l’aldilà è visto in modo assai differente rispetto all’Occidente. I cinesi non hanno in realtà una chiara concezione dell’aldilà, né il nostro interesse per questa nozione. Già Confucio - il filosofo che attorno al 500 a.C. ha plasmato la cultura cinese - a chi gli chiedeva dell’aldilà rispondeva: non so ancora nulla della vita, come puoi chiedermi dell’aldilà. Poi la Pisu si sofferma sulla grande importanza che l’astronomia ha nella concezione del mondo cinese. È un’importanza che c’è fin dall’inizio della storia perché l’astronomia è legata al calendario dell’agricoltura. Lo stabilire il calendario, che segna i ritmi della natura, era il compito principale dell’imperatore, mediatore tra l’armonia del cielo e l’uomo. Quando l’imperatore decide di cambiare il calendario, compie l’atto sovrano più tipico, l’atto supremo della sua autorità. Per questo nel passato cinese era vietato ai sudditi possedere strumenti di misurazione astronomica e mezzi di studio dei calendari: sarebbe stato violare un monopolio assoluto dell’imperatore. Si capisce così come l’imperatore fosse una figura indistinta tra potere temporale e potere religioso, all’incrocio tra il divino e l’umano. Questa mancata distinzione tra aspetti religiosi e aspetti profani ha portato e porta tuttora in Cina a intolleranza nei confronti delle altre religioni: come è noto, non è ammesso il cattolicesimo che fa capo a Roma, mentre è tollerata la Chiesa nazionale cinese che risponde a Pechino; anche la setta Falung gong, che ha milioni di adepti, è illegale. Questa mancanza di libertà di culto - sottolinea la relatrice - risponde a una mentalità che non ammette dualismi (come, da noi, Stato e Chiesa). Anche materia e spirito non sono distinti per i cinesi, sono un’unica energia. Dunque noi occidentali, figli della civiltà delle macchine, dobbiamo confrontarci con una concezione «fluida» della realtà. Ma i cinesi sono agevolati nell’affrontare oggi una fisica non meccanicistica. Già alla fine del Cinquecento, quando i missionari cristiani portarono in Cina la loro visione delle sfere celesti, i cinesi potevano opporre una visione dell’universo come spazio infinito dove galleggiano i corpi celesti: è una concezione fluida ed energetica che oggi appare di grande modernità. Renata Pisu conclude con una considerazione sull’oggi. Quello dei cinesi - afferma - è uno spirito gioioso e burlone. Città come Pechino sono una sorta di grande Napoli, piene di vita e di invenzioni. Ma oggi c’è un nuovo dio che tende ad appiattire il cielo cinese: il profitto.