Rassegna Stampa

Giovedì 03 aprile 2003


Giovedì 03 aprile 2003
A colloquio con Renata Pisu Sotto il cielo d’Oriente
Oggi al salone Vanvitelliano l’incontro con la scrittrice
Oggi pomeriggio alle ore 18, per il ciclo "La costruzione del cielo" dei Pomeriggi in Vanvitelliano, promosso dal Comune di Brescia, assessorato alla Cultura, e da Starrylink, la giornalista e scrittrice Renata Pisu parlerà sul tema "Il cielo e l'Oriente".


Renata Pisu, giornalista e scrittrice, ha frequentato i corsi di lingua e storia della Cina all’Università di Pechino fino agli inizi della Rivoluzione Culturale. Da allora svolge la professione di giornalista con particolare attenzione ai problemi dell’Asia orientale. E’ stata corrispondente de "La Stampa" a Tokyo dal 1984 al 1989. Dal 1990 è inviata speciale di "La Repubblica" su tutti i fronti delle guerre non dichiarate e delle catastrofi annunciate, dalla Bosnia al Ruanda, dal Kuwait alla Cambogia, dall’Indonesia al Bangladesh.Ha tradotto dal cinese opere di narrativa moderna e scritto saggi sulla società cinese apparsi su riviste italiane e straniere. In volume ha pubblicato "Cina, tra uomini e mostri" (Rizzoli, 1991) "La Via della Cina" (Sperling & Kupfer, 1999), vincitore del Premio Rapallo e finalista Premio Strega. Presso la stessa casa editrice sono usciti "Alle radici del Sole - Storie dal Giappone" (2000) e "Oriente Express - Storie dall’Asia" (2002).Nell'imminenza dell'incontro bresciano, abbiamo rivolto alcune domande all'insigne studiosa.Quali sono le particolarità del cielo (o dei cieli) in Oriente?«Lei mi chiede quali sono le particolarità di un concetto astratto come è il Cielo, oppure del cielo come... cosa? Come firmamento, bellissimo termine ora ovviamente in disuso? Come al di là? Come spazio siderale? Come infinito? No, non so rispondere, è troppo per una che si occupa di Cina e culture dalla Cina influenzate, nell’orbita cioè - ecco un’immagine astronomica - di questa grande e antica civiltà, così concreta che per indicare, cioè scrivere il carattere che indica il cielo, parte dall’uomo: il cielo è qualcosa che sta sopra un uomo grande, e un uomo grande è un uomo con le braccia aperte. Così penso che sarebbe meglio parlare non di un vago Oriente ma di Cina. In Cina è tutto diverso, anche il Cielo».Come spiega questa diversità?«Ecco, qui mi riferisco al Cielo come luogo del pensiero religioso, mitologico. Mentre tutte le civiltà che vanno dalla vallata del Gange al Mediterraneo hanno come un’aria di famiglia dovuta alla relativa facilità degli scambi e ai movimenti continui di popolazioni, la Cina fa parte dell’insieme umano che si trova dall’altra parte della grande piega himalayana. Il panorama, e il Cielo, qui sono diversi, non si ha la stessa ricchezza di miti, l’abbondanza e la precisione delle rappresentazioni degli dei, lo sviluppo della nozione di anima e di salvezza individuale che si ritrovano dall’India al mediterraneo. L’uomo indo-europeo è un homo theologicus, lo stesso non può dirsi dell’uomo cinese. Certo, anche in Cina i fenomeni religiosi sono importanti, ma la religione occupa un’altra dimensione e ha altre funzioni. Basti accennare, qui, che il concetto di immortalità come la intendiamo noi, non ha mai attecchito. Al massimo i saggi cinesi, specie i taoisti, sono arrivati a concepire una sorta di lunga vita, di preservazione del corpo, perché per loro c’è soltanto materia». Che posto occupa lo studio dell’astronomia in Cina? «I cinesi sono sempre stati dei cultori appassionati di astronomia il cui compito essenziale era stabilire il calendario. Nei tempi antichi non facevano distinzione tra cielo e anno, fra calendario e astronomia, che erano come due aspetti di una medesima nozione. Il calendario, in una società tipicamente agricola, era considerato il supremo regolatore di tutte le attività e si riteneva che vi fosse un’intima connessione tra cielo e fenomeni naturali, da una parte, e azioni umane dall’altra. Gli astri influenzavano i comportamenti umani e i comportamenti umani, a loro volta, influivano sugli astri. Questa strettissima connessione ha caratterizzato la vita e le concezioni filosofiche della Cina dove la funzione di stabilire il calendario, che è sempre stata monopolio dello Stato, ha avuto un’importanza assai superiore a quella che ha avuto da noi. Insomma, per loro l’astronomia doveva studiare l’armonia dei fenomeni celesti con i fenomeni storici umani: in epoca di disordini, di calamità naturali, di catastrofi, si deduceva che l’armonia era venuta meno e andava ristabilita. Come? Quando i cinesi si accorsero, nell’VIII secolo avanti Cristo, che le stagioni non andavano più di pari passo con il loro calendario luni-solare, decisero che la colpa era della corruzione dilagante, del malgoverno. Non pensarono di correggere il calendario ma di cambiare il Sovrano il quale aveva perduto il "mandato del Cielo" a governare in quanto si era comportato malissimo. E così inventarono la "rivoluzione" che ancora oggi, in cinese, si dice "cambiare il mandato". Mi sembra molto interessante, dal punto di vista del Cielo, che la rivoluzione comunista di Mao sia stata intesa come un cambiamento del "mandato del Cielo a governare". E così, ancora mi domando: cosa è mai il Cielo in Oriente? In questo Oriente estremo che è la Cina?».

Attilio Mazza